Avete presente la definizione “crescita artistica”? Sì, bene … ora aggiungeteci “esponenziale” e otterrete l’unico modo per esplicitare l’evoluzione degli
Alchemy, già autori qualche anno orsono del promettente “
Never too late”.
I miglioramenti dei bresciani rispetto a quel gradevole dischetto sono davvero “impressionanti” e sarebbe interessante capire se per caso i nostri si siano recati in prossimità di un qualche misterioso crocicchio per ricevere (magari in cambio di un prodotto un po’ “svalutato” come l’anima …), da parte di una non meglio precisata entità “superiore”, l’ambito dono della “supremazia musicale”.
Tralasciando improbabili parafrasi di leggendari accordi “soprannaturali”, più pragmaticamente diciamo che per decifrare un’ostentazione di eccellenza del calibro di “
Dyadic”, all’evidente maturità espressiva dei protagonisti, si deve addizionare l’imponente sforzo professionale di un’etichetta che sa bene quanto l’
hard melodico, per sublimarsi a certi livelli, abbia bisogno di una cura particolare in tutti i settori della realizzazione discografica.
Ed ecco quindi che diventa importante evidenziare l’opera del produttore
Pierpaolo "Zorro" Monti, a capitanare un
team di lavoro davvero capace e motivato (da
Roberto Priori, impegnato in
mastering e
mixaggio, al rilevante contributo di
Davide "Dave Rox" Barbieri,
Stefano Zeni e dello
special guest Steve De Biasi), in grado di garantire un’accuratezza che coinvolge addirittura i testi, supervisionati dallo scrittore britannico
Peter Darley.
Insomma, nulla è lasciato al “caso” (a testimonianza che i tempi dell’appassionata “approssimazione” italica sono definitivamente tramontati …) e il risultato finale ripaga ampiamente tanto impegno, affidando all’apparato
cardio-uditivo di tutti gli appassionati del genere un disco avvincente e coinvolgente.
Con un adeguato “supporto”, gli
Alchemy sono oggi dunque liberi di sfoggiare con incredibile disinvoltura le loro incrementate qualità compositivo / esecutive ed è sufficiente anche un solo contatto con l’
opener “
Cursed” (arpeggio iniziale ad accendere il
pathos, ingresso delle tastiere a far da tappeto a un luminoso crescendo armonico che esplode in un ritornello da contagio istantaneo …) per percepire in maniera vivida il valore di “
Dyadic”, presagendo di avere a che fare con una vera priorità da
chic-rocker.
Sensazione confermata dal tocco pomposo di “
One step away”, che si evolve in un’altra gemma melodica, mentre con “
Endless quest” i nostri esplorano con efficacia il loro lato più energico e
anthemico, per poi abbandonarsi al raffinato e vitale romanticismo di “
What it takes”, a cui contribuisce l’ispirata sei corde di
Stefano Zeni.
La pulsante impronta ritmica della trascinante “
Nuketown” dimostra che si può essere sofisticati pur possedendo “attributi” ben dimensionati e lo stesso si può affermare per la successiva “
Day by day”, irrorata da intriganti tastiere e sospinta da gustose spirali vocali.
“
Hero”, scritta da
James Martin,
Tom Martin e
Nick Workman dei Vega, combina
verve e magniloquenza e “
Lost in the dark” e “
Take another shot” seducono con un’altra dose imponente di radiosa e robusta melodia.
La suggestiva ballata “
Goodbye” (cantata in duetto con “
Dave Rox” e presente anche come
bonus in versione acustica) e l’enfasi vagamente Rainbow-
esca di “
Prisoner” sono le ultime due scosse di un albo che non esito a definire un altro autentico “fiore all’occhiello” di una scena nazionale sempre più qualificata e concorrenziale, assolutamente all’altezza degli illustri
competitor europei e americani.
Ah, che goduria …
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