Se con l'esaltante debutto (
di cui vi ho parlato qui) i
Troll ci prendevano per mano e ci conducevano all'avventura in un fitto umido bosco che si apriva a spettacolari radure, pieno di ombre e schiarite, sulle ali del loro doom venato di stoner -un viaggio tutto da scoprire- oggi, con il nuovo
Legend Master, i quattro di Portland ci fanno da ranger lungo percorsi ben segnati, lunghe passeggiate tranquille a rimirare le bellezze dell'Oregon.
La differenza tra i due platter è sottile, ma è un po' tutta qui.
La durata dei brani si è allungata di molto (siamo oltre 10 minuti di media) e c'è tutto il tempo per l'evolversi della loro musica fatta di una batteria pulita, di chitarre distorte che alternano i muscoli con arpeggi sognanti di classe, di un basso che riempie davvero lo spettro sonoro pulsando prepotente, e da una voce garbata e sognante. Altro aspetto evidente, rispetto al suo predecessore, è una sterzata verso un suono ed un approccio ai pezzi un po' più seventies e meno maliconico. Un doom settantiano, insomma. Le composizioni, come dicevo poco sopra, sono un po' lunghette e ogni tanto si siedono, mentre l'ascolatore aspetta un guizzo, un segno, una svolta, che arriva eh, ma l'omonimo debutto aveva dalla sua una durata di 33 minuti che, una volta terminato, ti faceva venir voglia di premere subito play per fare un altro giro nei boschi.
Legend Master, pur essendo davvero un lavoro assolutamente riuscito, sentito, con suoni naturali e tanta passione, si perde un pochettino.
Al netto di queste piccole critiche assolutamente personali, stiamo sempre parlando di un gran bel disco che consiglio agli amanti dello stoner/doom più dilatato ma tutt'altro che soporifero.
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