Il singolare nome di questo gruppo (e in una certa misura anche alcuni aspetti "estetici" generali) mi riporta alla stagione del prog-rock italico anni '70 e sebbene le analogie musicali non siano poi così particolarmente evidenti, qualche affinità tra le due situazioni, soprattutto dal punto di vista attitudinale, mi pare possa essere individuato.
La voglia di "progredire" nella propria rappresentazione artistica, innanzi tutto, guardando ai modelli stranieri, senza però perdere identità e personalità, mescolando la tradizione del proprio paese nativo con le più svariate contaminazioni, e dove lo Spaghetti Rock dei seventies combinava rock autoctono, blues, folk, jazz, musica classica e melodia mediterranea, se immaginiamo una loro versione in cui i concetti vengono estremizzati ed attualizzati e se escludiamo la componente sinfonica, ritroviamo in qualche modo questi stilemi anche nell'esibizione nel nostro Maniscalco, che nondimeno ama infarcire il tutto con quella violenza sonora comunemente definita heavy metal, con qualche sprazzo d'impeto punk, un po' di stoner e un pizzico di noise in salsa tricolore.
Potremo definire quest'intrigante meltin' pot che rifugge dalle omologazioni anche con il termine "crossover" ed, infatti, spesso i ragazzi di Volterra sono stati accostati, con discreta dose di ragione, ai maestri System Of A Down, ma i testi e il cantato in lingua madre, nutriti da ironia "allucinata" e arguzia toscana, li caratterizzano come una realtà molto italiana (ma questo non significa una mancanza di "validità per l'espatrio", sebbene la scelta linguistica possa essere magari minimamente "limitante" da questo punto di vista), con richiami alla brama di libertà espressiva e alla creatività che appunto contraddistinguevano il ribollente periodo menzionato all'inizio di questa disamina.
Insomma, chiamatelo come Vi pare, ma non si può negare l'originalità, la buona inclinazione melodica e l'abilità nell'accordatura dei contrasti di un sound che trae la propria ispirazione da un immenso contenitore di suggestioni e che alla fine coagula in sé stesso riverberi di Dog Fashion Disco e Mr. Bungle, AFA, Yo Yo Mundi e il nu-metal, Area e Queen Of The Stone Age, Primus e Marlene Kuntz (oltre ai già citati SOAD), riuscendo però a conservare una peculiarità propria veramente difficile da rintracciare in un panorama musicale (anche in quello che vorrebbe essere "alternativo") sempre più conforme ai canoni dettati dal mercato discografico.
Gli armeno-statunitensi più famosi della scena affiorano nelle traiettorie della trascinante "L'Età del bisturi" e in parte anche in "Giro immobile" (molto bella la parte corale dalle atmosfere leggermente "flower power") e sono sicuro che Les Claypool e Josh Homme non potranno che eventualmente riscontrare (qualora ne avessero l'opportunità), nelle cadenze di "Fase 5: metabolismo" e nell'ottima "Anima dolosa", una sorta di lontana "comunione d'intenti" con il loro modo d'intendere "l'arte del suono organizzato", ma personalmente ho apprezzato forse ancora di più il rockabilly sbilenco di "Miscuote ... Mincanta" (il riff mi ha ricordato vagamente quello della sigla del vecchio telefilm Batman e Robin), "Carta-stagna", dove l'ardore metallico s'innesta su ritmi e fisarmoniche da ballo liscio, il jazz metal swingante e psicotico intitolato "Metamorfosi plausibile", la liquidità inquietante dal sapore prossimo al trip-hop di "Ego", la camaleontica "Distanze" (davvero splendida), oltre che le inflessioni sintetiche e le dissonanze simil-psichedeliche di "Silenzio di cartapesta".
Aggiungete la pura follia lucida di "Geometria affabile" e la stralunata "8 di mattina" (qualcosa dei Primus ritorna anche in questi brani) e otterrete un disco contorto, provocatore, anarchico, ma quasi paradossalmente parecchio coinvolgente e innegabilmente stimolante.
Spesso scribacchini, autorevoli giornalisti e il pubblico stesso, lamentano nel mondo del rock una mancanza di novità ed estro, ma poi i gruppi che possono contare su di un significativo riscontro anche commerciale, difficilmente sono quelli più "temerari".
Serj Tankian e soci rappresentano, insieme a pochi altri, una delle più recenti piccole inversioni di tendenza e ritengo che Il Maniscalco Maldestro meriti, per le sue qualità attuali e altresì per le sue potenzialità, un analogo trattamento.
Spero proprio che vorrete, quindi, concedergli la Vostra fiducia, perché di gruppi come questo ce n'è sempre un gran bisogno e anche se forse ci vorrà un po' d'applicazione e d'attenzione in più rispetto alla media degli ascolti "comuni", una volta comprese le regole (o per meglio dire la loro assoluta mancanza) del labirinto sonoro creato da quest'eccellente "artigiano" che opera una singolare forma di "pareggio e ferratura" nelle "scuderie del rock", credo che non vorrete più uscirne.
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