A tre anni dal (orrendo, a parere di chi vi scrive) concept "
Jomsviking" ecco di nuovo calare dal nord
Johan Hegg ed i suoi
Amon Amarth per l'undicesimo capitolo di una storia che appare inarrestabile.
Al fianco della inossidabile
Metal Blade il quintetto svedese presenta "
Berserker", prodotto non più da
Andy Sneap ma da
Jay Ruston e che vede dietro le pelli
Jocke Wallgren per la prima volta dal suo ingresso nella band avvenuto nel 2016.
Recensire un disco degli
Amon Amarth è sempre un compito interessante per diversi motivi: la popolarità della band, l'affetto con cui i numerosissimi fans salutano ogni loro nuova uscita, l'importanza storica innegabile che rivestono da oltre un quarto di secolo nella scena estrema mondiale.
Personalmente seguo i ragazzi di Stoccolma sin dagli esordi: i devastanti -ancorchè acerbi e grezzi- "
Thor Arise", "
The Arrival of the Fimbul Winter" e "
Sorrow Throughout the Nine Worlds" hanno dato una spinta decisiva al mio ancor giovane ma già bruciante amore per la musica estrema, diventato poi un incendio inarrestabile con la pubblicazione di quel capolavoro che risponde al nome di "
Once Sent From the Golden Hall".
Ogni cosa bella però ha termine a questo mondo e così ho visto il loro sound album dopo album diventare sempre meno aderente alla furia dei primordi e sempre più adatto alla crescente immagine di "Manowar del viking metal" che si stavano creando.
Ma veniamo a "
Berserker" prima di annoiare ulteriormente....
Ora, io capisco che trovare idee nuove ed originali con la mole imponente di dischi in uscita ogni settimana è impresa ardua, ma insomma....(fate voi le considerazioni che ritenete più opportune dopo aver visto le due immagini di seguito)
Asenblut - "
Berserker" (2016)
Amon Amarth - "
Berserker" (2019)
Musicalmente ci troviamo di fronte ad un deciso miglioramente rispetto allo scadente "
Jomsviking", forse il punto più basso toccato dagli
AA, ma siamo ancora lontanissimi dai fasti del passato.
Il lotto di brani suona perfettino, pulitino, ben infiocchettato e confezionato, adattissimo ad essere fischiettato con facilità o canticchiato mentre ci si dedica ad altre attività; i riff sono semplici ed abbastanza scontati così come le linee melodiche (efficaci nella loro ruffianeria): un bel firulì firulà senza tanto impegno.
Il death guerresco e melodico ha ormai ceduto il passo ad un suono più classico: impossibile non riconoscere passaggi maideniani in "
Mjolner, Hammer of Thor ", "
The Berserker at Stamford Bridge" e soprattutto in "
When Once Again We Can Set Our Sails"; e non sono i tenui sussulti di "
Fafner's Gold" o "
Raven's Flight" che possono far gridare al miracolo.
Interessanti gli spunti offerti da "
Valkyria" e "
Wings of Eagles" mentre la lunghissima "
Into the dark", introdotta da un insolito passaggio di piano, la scontata "
Ironside" e la francamente bruttina "
Shield Wall" lasciano il tempo che trovano.
Forse condensando le idee, distillandole dagli eccessivi 57 minuti di running time, il risultato complessivo sarebbe stato migliore.
Sono consapevole che vi siano due fazioni in seno ai fan degli
AA: i conservatori (tra cui il sottoscritto), tetragoni alla svolta più mainstream intrapresa dalla band, e gli innovatori che al contrario apprezzano maggiormente i nuovi dischi rispetto a quelli più ostici degli esordi.
Ognuno, e ci mancherebbe altro, è assolutamente libero di pensarla come vuole ma credo che non sia possibile nè giusto fare finta che i capitoli scritti in passato non siano mai esistiti: se gli
Amon Amarth meritano un posto di rilievo nella storia del metal non è certamente per gli ultimi lavori.
Chiaramente questa mia opinione farà parte di una sparuta minoranza e -sono pronto a scommettere- verrà spazzata via dai numeri delle vendite e probabilmente è giusto così, ora però lasciate che "
The Dragons' Flight Across the Waves" ed io continui la mia personale "
Victorious March".
Amon Amarth - "
Raven's Flight"