“Bigger & Better”. È questa la prima impressione che ho avuto ascoltando il nuovo
“Hail Stan” dei
Periphery. Con questo nuovo album i progster (ne riparliamo tra un attimo) statunitensi riprendono il discorso iniziato con il precedente
“Periphery III: Select Difficulty” ma espandono ulteriormente quelli che erano i confini dell’esplorazione già messa in atto. A ciò aggiungete una produzione ancora più sfarzosa e una cura del dettaglio che sfiora il maniacale: avrete una mezza idea di cosa aspettarvi da
“Hail Stan”. Se elogiare il livello tecnico della band risulta ormai stucchevole, doveroso è invece spendere una parola su quella che è – a mio avviso – la vera arma in più della band:
Spencer Sotelo dà sfoggio (anche) in questo disco di tutta la sua versatilità, passando con facilità disarmante da un clean celestiale ad un growl brutale, e padroneggiando tutta la gamma di varianti che stanno nel mezzo.
Ma torniamo un attimo a quel “progster” con cui ho esordito. Non temete, il djent – territorio abituale della band – è ancora ben presente, ma la sensazione è che i
Periphery siano sempre meno catalogabili in un singolo genere, se non nel prog, inteso nella sua accezione più classica: quella di continua ricerca e sperimentazione.
A corroborare questo mio punto di vista ci pensa l’opener del disco
“Reptile”, che con i suoi quasi 17 minuti sembra quasi una dichiarazione d’intenti. Il brano si muove tra atmosfere diverse ma, cosa non ovvia con pezzi di questa durata, lascia già dal primo ascolto le principali melodie ben impresse nella testa dell’ascoltatore. Per quel che mi riguarda è il pezzo migliore del disco.
“Blood Eagle” – singolo che ha anticipato il full album – è forse il brano più djent dell’intero album, ma il break centrale “arabeggiante” permette alla band di non ricadere nei soliti cliché. La palma del pezzo più violento spetta invece a
“Chvrch Bvrner”, il cui finale elettronico chiarisce meglio di mille parole il livello di sperimentazione della band.
“Garden In The Bones” mescola con ottimi risultati tecnica e melodia ed è sicuramente uno degli
highlight del disco. Mi è sembrata un po’ fuori luogo la catchy
“It’s Only Smiles”, una buona canzone, se presa a sé stante, ma un po’ troppo solare e forzata nel contesto di un disco come
“Hail Stan”. Anche
“Follow Your Ghost” non mi ha convinto appieno: un brano djent molto cadenzato che, al netto di una splendida apertura vocale drammatica, non regala particolari sussulti. Ma si riparte subito con
“Crush”, un ottimo pezzo ad elevato tasso elettronico che non sfigurerebbe in un disco dei
Linkin Park (solo io continuo a pensare che
Spencer potrebbe raccogliere la pesante eredità di
Chester Bennington?). “Sentient Glow” è un brano con reminiscenze trash ed insolitamente “dritto” per gli standard della band. Si chiude con
“Satellites”, quasi un erede spirituale di
“Lune”, una ballata fumosa e malinconica nella quale giganteggia – ancora una volta – un ispiratissimo
Spencer Sotelo.
Come avrete intuito siamo di fronte ad un disco ambizioso, che spinge ancora più in là la ricerca stilistica e tecnica della band. Ma i
Periphery vincono la sfida a man bassa, dimostrando un controllo del songwriting e delle proprie capacità tecniche davvero invidiabile. Non oso immaginare cosa ci aspetterà con il prossimo disco. Nel frattempo, godiamoci
“Hail Stan”.
A cura di Paolo "Pera" Perazzani
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?