"Det eviga leendet" in svedese vuol dire "il sorriso eterno": il gruppo di Uppsala lo ha preso in prestito da una novella del 1920 di Pär Lagerkvist incentrata su un grande gruppo di persone morte che, sedute nel buio, parlano per trascorrere l'eternità.
Tutto ciò mi ha affascinato immediatamente.
L'ascolto di
"Lenience", il primo album per i nostri, ha fatto il resto.
Un black metal feroce, disperato e incredibilmente ipnotizzante è quello che esplode quando premiamo il tasto play: l'esperienza che ne deriva è davvero appagante perché capace di farti sprofondare nelle visioni di questo gruppo.
Ogni brano è simile al precedente.
Le variazioni sono poche.
Il riffing gelido e carico di pesantissima, meravigliosa, malinconia.
Lo scream tanto disperato e rabbioso da ferire.
I tempi quasi sempre veloci.
Le melodie, beh, le melodie ti lasciano basito e ti avvolgono con le loro possenti spire dal vago sapore "post".
"Lenience" fa male.
Fa male ascoltarlo, fa male sentirlo insinuarsi sotto la pelle, fa male capirne il dolore e la forza catartica.
Siamo lontani da quello che era il black metal dei primi anni '90.
Qui abbiamo a che fare con qualcosa di "moderno", con qualcosa di "nuovo" rispetto alle croci capovolte ed alle facce dipinte.
Questo è il suono del grigio e della desolazione.
Il suono di chi attende in eterno al buio.
Non credo si debba perdere tempo a giudicare la produzione, la tecnica o "dettagli" del genere:
"Lenience" è un album che va vissuto, ascoltato con attenzione e nel quale si deve, letteralmente, sprofondare per coglierne l'intima essenza e la devastante violenza.
Non sarà un ascolto semplice, ma il fascino sarà innegabile.
Come innegabile saranno la sofferenza ed il dolore che vi si paleseranno davanti agli occhi.
Album magnifico.
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