I
Vaura, band statunitense formata da membri di
Tombs,
Gorguts e
Dysrhythmia, festeggiano il decimo compleanno dando alle stampe grazie alla
Profound Lore "
Sables", il terzo full length della loro carriera.
Dopo aver recuperato i primi due dischi (che non conoscevo), "
Selenelion" e "
The Missing", mi sarei aspettato di ritrovare anche a 6 anni di distanza le sonorità black gaze e post-rock che -sebbene arricchite da sovrastrutture new wave e gothic- la facevano da padrone.
Mi sbagliavo.
Ciò che era semplice orpello in "
Sables" diventa piatto forte e cancella in toto qualunque traccia non solo di post black, black gaze o simili ma addirittura di ogni elemento riconducibile al metal in generale.
I
Vaura si sono spinti avanti guardando al passato e creando un disco che apre un portale direttamente sugli anni '80 ricreando le atmosfere dei
New Order di "True Faith", gli scenari onirici dei
Cure di "Three Imaginary Boys" o la leggerezza di Mark Hollis e dei suoi
Talk Talk.
Tutti i brani del disco sono caratterizzati dall'incedere pastoso del basso di
Toby Driver, dai tappeti eterei di synth e chitarra srotolati da
Josh Strawn e dai ritmi irregolari e sghembi della batteria di
Charlie Schmid: "
Espionage", "
The Ruins", "
Eidolon" con il suo ritornello ipnotico ed ammaliante fanno a gara per aggiudicarsi la palma di brano migliore del lotto.
Su ogni cosa però aleggia maestosa l'incredibile prova vocale di
Strawn, ora Robert Smith ora Midge Ure, istrionico nell'interpretazione delle linee di ogni singola canzone.
La produzione di
Peter Walsh (dicono niente Simple Minds e Peter Gabriel?) infine rende il tutto perfetto in ogni passaggio, permettendo al disco di suonare moderno proponendo un genere di maniera.
"
Sables" è un disco che mi ha spiazzato ed affascinato (sono un ex ragazzo cresciuto e formato negli anni '80, portate pazienza) fornendomi il piacevole pretesto di un tuffo nel passato.
Perchè il SV dunque, vi starete chiedendo....
Il motivo è presto detto: il disco non è nemmeno lontanamente assimilabile al metal e dare un voto pertanto avrebbe poco senso, almeno per quanto mi riguarda.
Posso però dire che i
Vaura regaleranno - a chi volesse immergersi nel grande oceano musicale ottantiano- 45 minuti di pura classe sonora e di prepotente nostalgia.
Vaura - "The Ruins (Hymne)"
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