Un nuovo album dei
Bad Religion ormai è come il pranzo delle feste dai nonni.
Un tempo lo consideravi un evento fondamentale, uno spartiacque della vita per quello che avresti ricevuto in regalo. Col passare degli anni la sua importanza si è inevitabilmente ridimensionata, sia perché nella tua vita gli orizzonti si sono ampliati, sia perché le sorprese sono sempre meno. Il menù è lo stesso, da sempre. Roba di qualità, che per chi ci è cresciuto rappresenta la pietra di paragone di ogni altro pasto... però è anche capitato che a volte l’arrosto venisse un po’ bruciato, o il primo troppo insipido, e ti auguri che non sia uno di quegli anni.
La gente presente non cambia molto, rughe a parte, anche se ogni tanto qualcuno non c’è più, o qualche nuovo parente fa la sua comparsa. Si parla molto, ad alto volume, e ci si lamenta della politica, del clima, o della società, o del mondo che è sempre più brutto. Nei momenti di maggiore entusiasmo partono cori. Sai esattamente quando aspettarteli, ed arrivano puntualissimi. Stavolta c’è persino qualche inaspettato momento di dolcezza, che lascia un filo d’imbarazzo.
Eppure, in questa ciclica riproposizione degli stessi piatti, c’è una sincerità che muove all’affetto, una voglia di continuare a mettersi in gioco incurante del rischio di rendersi un po’ ridicoli per la loro età (ricordate quella volta in cui si erano messi a fare le canzoni di Natale?)... Hanno perso buona parte della loro velocità, però dai, stavolta è andata bene, sanno ancora fare il loro mestiere. Una parte di te pensa che forse sarebbe giunto il momento per loro di farsi da parte, ma sai anche benissimo che se non ci fossero ti mancherebbero terribilmente. Questa gente ha cresciuto te e tutti gli altri per cui provi affetto, quindi zitto, e mangia.
Francesco Lucenti
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