Conosciuti con il precedente The Cycle Never Ends, i
Ravensire mi avevano subito conquistato con la loro epicità guerresca e maschia, un suono pieno e glorioso sottolineato anche dalla voce roca e sgraziata di
Rick Thor. Ho poi recuperato ed apprezzato il loro primo full length -ancora più "ruspante"- e sono oggi pronto a parlarvi del nuovo
A Stone Engraved In Red, un disco in cui le cose vanno bene ma non benissimo.
Quello dei portoghesi è un heavy classico dalla forte impronta epica, mai troppo veloce, anzi adagiato su mid-tempo oppure up-tempo con palesi influenze di Manowar, Manilla Road, e perché no, Visigoth. Questo nuovo album è però più garbato diciamo, meno selvaggio, più melodico e ci sono belle parti ma... l'ho ascoltato e riascoltato e non decolla del tutto.
Se da un lato possiamo sempre contare su una prestazione strumentale buona, che ti fa gonfiare il petto -al netto si alcuni casi in cui viene allungato un po' troppo il brodo, va detto- dall'altro lato la metrica sempre uguale e l'eccessiva pronuncia alla
Hetfield, con tutte le parole finali in cui vengono storpiate le vocali ("eeeiiihaaaa", "oooooah", "ueeeeeaaah", "seeeeaaah") stanca fortemente l'ascolto, oltre a rendere il cantato davvero molto simile su tutti i pezzi, con il risultato di appiattire pesantemente le canzoni e irritare l'ascoltatore.
Ci tengo a sottolineare che si tratta di un disco niente male (con ottimi pezzi come "
After The Battle" in cui l'amore per i Manilla Road esce ancora di più allo scoperto) ma ci sono diverse ombre che non permettono a disco di spiccare.
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