I bolognesi
Slow Order pubblicano per
Argonauta il loro secondo album, a parecchi anni dall’esordio “Hidden voices” (2014). Si tratta di un trio strumentale a forti tinte heavy rock/stoner, sul genere di Pelican, Yob, ma soprattutto Karma to Burn, con i quali hanno in comune un tiro sempre sostenuto, intenso, incalzante e a tratti massiccio. Prendiamo ad esempio la trascinante e compatta “
Serpent’s son”, con il suo cupo groove stoner-metal, oppure l’incedere roccioso di “
Kanavar” che unisce tratti quasi sludge ad assoli brucianti e ritmiche adrenaliniche, ed abbiamo l’esempio di come si possa realizzare un lavoro interamente strumentale con buona varietà di soluzioni e senza far calare l’attenzione dell’ascoltatore.
La serrata title-track ricorda qualcosa degli ultimi Mastodon, con un lieve respiro psichedelico, mentre la conclusiva “Black mass” offre una prospettiva più oscura ed avvolgente, con passaggi maggiormente riflessivi, del sound del terzetto felsineo.
Se siete amanti dello stoner metal strumentale, il disco degli
Slow Order è da avere senza esitazioni.
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