Ci sono dischi -e succede sempre nel corso della vita di chi ama la musica in generale ed il metal in particolare- che al primo ascolto fanno saltare in piedi con un'espressione ebete stampata sul volto ed un unico pensiero fisso in testa:
"
COSA CAZZO HO APPENA SENTITO?"
Ognuno di noi ha la sua lista più o meno lunga e più o meno condivisibile; per quanto riguarda me in questo elenco si è inserito a forza il debutto dei tedeschi
Halls of Oblivion, "
Endtime Poetry", edito da
Metalapolis Records.
Il quartetto di Stoccarda - forte di un'esperienza più che decennale testimoniata solamente da un EP del 2015- non ha alcuna remora nel mettere a nudo la propria anima per tutta la durata dei 57 minuti del disco: dai suoi solchi emergono in tutta la loro straziante profondità i disordini interni, le lacerazioni e le angosce dello spirito umano.
Sarebbe più facile voltarsi dall'altra parte e fingere che queste miserie non esistano ma gli
Halls of Oblivion scelgono di raccontarle evocando panorami crudi e dolorosi grazie alla loro proposta aggressiva, malinconica, disperata ed irresistibilmente melodica.
Uno stile personalissimo in cui miscelare melodeath e black atmosferico che vede nel cantante e chitarrista ritmico
Sebastian Ruf il compositore principale, sostenuto dalla sezione ritmica
Weber/Kristen e dalla incredibile magia della chitarra solista di
Marcel Welte.
Il lotto di canzoni, tutte di durata sostanziosa, è vario e non offre alcun momento di noia presentando all'ascoltatore un prisma di soluzioni.
Dopo una breve intro di synth l'opener "
Vanishing woods" azzanna con un riff spezzacollo sui quali le harsh vocals di
Ruf non lasciano scampo impreziosite da un songwriting ispiratissimo (personalmente già dopo "
Creation of mankind..." urlato al colmo di una disperazione furiosa avevo già la pelle d'oca...), la successiva "
Under the Weeping Willow" è un compendio del melodeath di stampo nord europeo con vocalizzi soffusi, partiture acustiche di chitarra, intermezzi furiosi e synth sognanti.
Spesso la frase è abusata ma in questo caso rispecchia la realtà: servirebbe un'analisi dettagliata di ogni canzone per coglierne appieno le mille sfumature, per brevità (e per non annoiare) mi limiterò a segnalare la malinconica "
The Servant" ed i suoi certosini intarsi di chitarra, la delicatezza violenta di "
The Final Regret", la struggente "
A World Falling Apart" e "
The Hypocrite" che grazie ad un soffuso outro di asce e synth chiude degnamente il disco.
"
Endtime Poetry" è un disco sontuoso, non ho alcun timore nell'usare questo termine, ogni singolo particolare si incastra perfettamente componendo un quadro di singolare bellezza: pensando che si tratta di un'opera prima non posso che applaudire ammirato.
Se gli
Halls of Oblivion proseguiranno su questi livelli gli Insomnium avranno trovato i loro -degnissimi- eredi.
Halls of Oblivion - "
Under the Weeping Willow"
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