Da quando avevo circa 16 anni ho sempre considerato quel territorio di confine tra il thrash metal e il black metal come il mio habitat naturale:
Bathory,
Sarcófago,
Necrodeath,
Bulldozer e tutto quel marciume blasfemo trasudante odore di chiuso e cantine lercie è da sempre il mio rifugio preferito. Problemi con una donna? Hellhammer! Lo studio va male? "
In the Sign of Evil" dei Sodom! ...e così via per ogni sfortunata eventualità della vita.
Per queste ragioni ascolto sempre molto volentieri band, anche nuove, che si rifanno a quelle sonorità e tendo spesso ad essere generoso nella valutazione. Va però detto che in un ambito così oltranzista l'innovazione è severamente vietata e non solo non è considerata un valore ma è anzi intesa come una perdita di quell'attitudine primordiale, da scantinato, in cui gli amanti del genere si crogiolano. Ciò, da un lato, permette certamente di aderire ad una compagine stilistica che possiede un'identità precisa, dall'altro, però, è anche molto difficile riuscire a comporre qualcosa di memorabile, di riconoscibile... in definitiva, qualcosa di "utile".
C'è chi ci riesce: mi vengono in mente gli ottimi
Ketzer di "
Satan's Boundaries Unchained" (2008) o gli altrettanto buoni
Cruel Force di "
The Rise of Satanic Might" (2010).
C'è chi non ci riesce: ed è il caso del mediocre dischetto dei BitchHammer qui oggetto di recensione. I nostri, compatrioti delle due band citate appena sopra, sono con tutta evidenza degli accaniti
worshippers delle sonorità di cui abbiamo finora parlato e dimostrano di conoscere la materia di cui si occupano ma non abbastanza da saperla rielaborare in modo personale. Nemmeno Ketzer e Cruel Force sono band "originali" ma sono stati capaci di produrre della musica ispirata, convincente e addirittura memorabile e riconoscibile. Ciò che manca ai BitchHammer è esattamente la capacità di effettuare quelle necessarie variazioni sul tema che permettono a una band di distinguersi dalle altre migliaia nello stesso panorama e, magari, perchè no?, stagliarsi al di sopra delle altre.
I 36 minuti che costituiscono "
Offenders of the Faith" (chiaro riferimento rovesciato al notissimo capolavoro dell''84 dei Priest) sono di fatto null'altro che una collezione di cliché del black/thrash in cui il songwriting si contraddistingue per essere abbastanza piatto ed anche i riff hanno quel sapore di già sentito che ti portano alla noia nel giro di 3 o 4 brani.
Se andate a vedere, i titoli stessi dei brani sono la quintessenza della banalità e, non fraintendetemi, io sono un grande fan dei testi blasfemi intrisi di immaginario satanico (molto meglio dei testi pseudo-filosofici e in realtà completamente vuoti di tante band pretenziose e insopportabili) però, cristo, una cosa è occuparsi di satanismo, un'altra è riciclare pedissequamente titoli e testi dalla tradizione a sé precedente. L'effetto di tutto ciò è l'impossibilità di prendere davvero sul serio la proposta musicale della band che se per certi versi si presenta come un perfetto canone del genere, per altri risulta priva di quella convinzione e di quella personalità che le permette di essere considerata "tipica".
Potrei dilungarmi sui dettagli tecnici: la voce completamente anonima, la pessima produzione (come se in questo genere contasse qualcosa) soprattutto della batteria, ecc. ma ciò che rende mediocre questo disco non è nulla di "tecnico" ma il semplice fatto che si tratta di un'uscita che non solo non aggiunge nulla a quanto già proposto nel genere ma che soprattutto trasmette ben poco in termini di entusiasmo, foga e cattiveria all'ascoltatore, finendo per essere dimenticato durante l'ascolto stesso.
Solo la canzone "
Satanica" (a proposito di incapacità di variare sul tema, anche a livello lirico...) si staglia un po sopra le altre grazie ad una componente black metal maggiormente accentuata... salvo poi venir anch'essa ri-allineata al coro della mediocrità a causa di un chorus che continua a ripetere ossessivamente il nome (banale) della canzone su una linea vocale non propriamente indimenticabile.
Dal vivo, nei piccoli locali underground dove questa band potrebbe trovarsi a suonare, non nego che i nostri possano riuscire a tenere banco ma il fatto è che se sai suonare questo genere puoi essere la band più piatta del mondo ma in sede live un po' di botta la riesci a trasmettere sempre. Cosa che in studio non funziona: non basta la violenza cieca e dei riff super-collaudati per portare a casa una sufficienza.
Non si tratta di un disco "brutto" ma semplicemente di un disco del quale il mercato discografico attuale, saturo di uscite, non sentirebbe assolutamente la mancanza.
Per fanatici e appassionati oltranzisti del genere.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?