Fare un disco thrash metal è al contempo una cosa semplice e difficilissima: semplice, perchè è un genere che ha dei canoni e dei tratti distintivi ormai ben consolidati da tanti anni cosicché un conoscitore del genere che sappia maneggiare una chitarra o un basso non avrà grossi problemi a venirsene fuori con un qualche riff da far accompagnare da un bel tupa tupa incalzante; difficilissima, perchè riuscire ad avere effettivamente qualcosa da dire in un genere con così tanta storia, bands ed uscite discografiche alle spalle è tutto tranne che scontato.
Non conoscevo i
Repent, formazione tedesca tutt'altro che alle prime armi, essendosi formata addirittura nel 1992, e ascoltando i lavori precedenti mi sono fatto l'idea che si tratta di una band tutt'altro che fondamentale, con una discografia qualitativamente un po' altalenante ma sempre dignitosa, con alcuni picchi costituiti da album più che godibili. "
Condemned to Fail", uscito il 16 agosto 2019, è sicuramente uno dei dischi migliori del combo bavarese riuscendo a fare con semplicità ciò che c'è di più difficile: creare un disco thrash metal nel 2019 facendolo funzionare come dovrebbe. Qui non c'entra il mestiere - che pure è presente - ma una certa freschezza che caratterizza tutte le componenti di un po' tutti i brani: riff trascinanti, ritmiche magari semplici ma sempre efficaci, buoni assoli, cambi di tempo, linee vocali che aiutano a ricordare i pezzi (oltre che una buona prova vocale) e un songwriting obbiettivamente lineare ma composito, che appare perfetto per enfatizzare la botta dei riff tritatutto qui proposti.
Valutare questa uscita sulla base dell'innovazione che dovrebbe portare sarebbe non solo ingiusto (chi continua a suonare thrash lo fa per attitudine, per far continuare lo spirito del più grande genere mai esistito, sicuramente non per tentare nuove strade a livello stilistico) ed anche sbagliato, perchè andremmo a proiettare delle aspettative che siamo noi ad imporre al disco e che non è di certo lo stesso a prometterci, il che significherebbe non riuscire a vedere ciò che nel disco c'è effettivamente: cioè una botta di old school thrash convincente e fresco, discretamente memorabile e da cui traspare il tentativo di metterci un po di qualcosa di proprio riunendo in modo eclettico ma funzionale scuole di thrash anche diverse (bay area, elementi più moderni groovosi e melodici che rinfrescano piacevolmente il suono senza sputtanare il risultato, ecc.) allontanando sensibilmente la proposta dei Repent dal marchio di fabbrica "teutonico" di molti loro connazionali.
Ho aperto la recensione definendo i Repent una band non fondamentale e la voglio chiudere consigliando di dare un'opportunità a questo dischetto potente e accattivante che, pur rimanendo lontano dall'essere un classico, si segnala come - a mio avviso, fino ad ora e senza gridare al miracolo - la migliore uscita thrash dell'anno, superando in freschezza, "tiro", memorabilità, longevità e produzione (il thrash coi suoni insopportabili della Nuclear Blast e della maggioranza delle grosse etichette di settore è semplicemente tedioso e inascoltabile) band molto più blasonate ma in realtà ormai scariche e piatte, incapaci di ferire, di far male, come invece riesce a fare il platter in esame.
A volte l'onestà, la perseveranza, la lontananza dai grandi riflettori e l'attitudine, quella vera, riescono a regalare più entusiasmo delle produzioni fighette e delle composizioni mosce dei grandi nomi che spesso, purtroppo, son rimasti con ben poco da dire.
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