Se comprimiamo lo spettro d’analisi all’ambito culinario, non posso certo definirmi un
fan della destrutturazione.
Non si tratta affatto dell’aprioristica diffidenza di un tradizionalista, ma piuttosto di un’amara constatazione maturata sul campo: raramente i cosiddetti “piatti destrutturati” incontrano i miei gusti e la mia idea di cucina -ammesso che ne possegga una, visto che sì e no riesco ad accendere un microonde-.
Laddove, invece, applicassimo il concetto al
metal estremo, il discorso cambierebbe eccome.
A fungere da -ennesima- dimostrazione dell'efficacia della destrutturazione in note soccorre oggi la
one man band del prolifico
Markov Soroka, chiamata
Tchornobog (il
monicker trae spunto da una misteriosa divinità slava dei tempi andati).
Cerchiamo di mettere ordine nel caos: tra i solchi di questo interessantissimo
debut (rilasciato inizialmente nel 2017) si agita un’esplosiva miscela di
death e
funeral doom, cui si aggiunge un pizzico di
black. Tali generi, tuttavia, vengono disciolti con perizia in un rovente crogiolo sonoro e riversati come magma bollente sul povero ascoltatore, al quale spetterà l'arduo compito di resistere all'iniziale spaesamento e codificare un'esperienza uditiva tutt'altro che semplice.
Le composizioni, in effetti, non forniscono appiglio alcuno all’immediata fruibilità:
- le durate interminabili (l’
opening track “
I: The Vomiting Tchornobog (Slithering Gods of Cognitive Dissonance)” oltrepassa i 20 minuti);
- l'assenza pressoché totale di melodia (unica scalfittura alla regola le tenui pennellate avantgardistiche di “
III: Non-existence's Warmth (Infinite Natality Psychosis)”);
- il
growling cavernoso e riverberato di
Soroka;
- il dipanarsi di architetture sonore torrenziali, sghembe e senza apparente filo conduttore;
- l'incessante rincorrersi di partiture percussive al limite della cacofonia e catacombali rallentamenti (si oda l’incubo ad occhi aperti intitolato “
II: Hallucinatory Black Breath of Possession (Mountain-Eye Amalgamation)”);
- il
feeling pregno di alienazione e delirio (peraltro rappresentato in modo esemplare dall'
artwork di copertina) che permea l'intero lavoro...
Quelli sopra elencati sono solo alcuni degli elementi che, senza ricorrere a giri di parole, contribuiscono a rendere i
Tchornobog un progetto per pochissimi.
La sparuta minoranza, tuttavia, troverà nell’omonimo dischetto pane per denti bramosi di coraggio e qualità... purché abbia la compiacenza di pazientare sino al terzo-quarto ascolto: prima sarà dura apprezzare il gusto ostico e ficcante dell’opera.
Se per una volta volete tentare qualcosa di diverso sapete verso quale
chef volgere lo sguardo.
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