C’erano una volta i Morifade, promettente band svedese, appartenente al filone melodic-power nordico (capitanato ovviamente dagli Stratovarius di fine anni 90), i cui venti gelidi provenienti dalla scandinavia, soffiavano fortissimi in tutta Europa sul finire dello scorso millennio, dando nuova linfa vitale a tutto il genere metallico, prima di perdere inevitabilmente di intensità una decina d’anni dopo.
Nel 2015, dopo 4 album all’attivo, di cui a dire il vero, solamente un paio discreti, mentre gli altri abbastanza anonimi, i Morifade optano per lo scioglimento che tuttavia non sancisce la fine musicale dei suoi membri, poichè ben 3 componenti su 4 (il bassista
Henrik Weimedal, il batterista
Kim Arnell ed il chitarrista
Robin Arnell) formeranno i
Prime Creation con il chiarissimo intento, evidente sin dal buonissimo omonimo album di esordio del 2016, di dare una svolta al precedente sound virando verso territori più tradizionali, in questo senso va collocata la scelta di un vocalist dotato di tonalità più “terrene” come
Esa Englund.
Anche in questo secondo disco, intitolato
Tears Of Rage, la volontà della band di Linkoping è quella di dare spazio a sonorità molto più asciutte e meno “sognanti” rispetto a quel passato contraddistinto da un monicker diverso da quello attuale, pertanto si assiste ad una quasi totale eliminazione delle tastiere, ad un irrobustimento della sezione ritmica che detta dei tempi più regolari, ma soprattutto vengono inaspriti a dismisura i riffs di chitarra che talvolta, come in
Before The Rain e
Pretend Till The End, portano la band a sconfinare dall’heavy tradizionale al thrash, in questi frangenti, ma anche in altre tracce, come
Walk Away o
A Beggar’s Call, sono evidenti le influenze di band del calibro di Brainstorm e Manticora o, in tempi più recenti, di Savage Messiah, Mystic Prophecy o Halcyon Way.
Tuttavia il fantasma dei Morifade continua sempre ad aleggiare, in particolar modo nel refrain di alcuni brani come
Fingers Crossed,
All For My Crown o nella title-track, si tratta di momenti in cui la band concede una pausa alla pesantezza del sound per concentrarsi su melodie più introspettive che penetrano nell’anima dell’ascoltatore ma, come si diceva, sono solo dei brevissimi attimi, che vengono ben presto spazzati via dai pesanti riffoni della chitarra
Robin Arnell.
Forse il vero punto dolente di
Tears Of Rage è il song-writing dove a mio avviso, rispetto al discreto debutto di tre anni prima che si era contraddistinto per la sua freschezza, la band fa registrare un passo indietro, come testimonia la conclusiva
Endless Lanes, traccia sinfonica abbastanza piatta ed inutile all’interno di un album in cui ad emergere dall’inizio alla fine è la pesantezza della struttura dei vari brani, forse una simile conclusione avrebbe potuto avere un senso al termine di un disco dei Morifade, ma qui stona decisamente.
Insomma, a conti fatti, l’impressione è che in questo secondo lavoro in studio i
Prime Creation si siano limitati al classico compitino, pur dando vita ad un album gradevole e confermando la rottura con un passato in cui forse non avevano più nulla da dire, e qui va dato atto al coraggio avuto dal combo svedese circa la scelta di cambiare nome e direzione musicale, quello stesso coraggio che manca a tanti colleghi più illustri (chi ha detto Sonata Artica?!?) i quali, nonostante abbiano perso ormai da tempo l’ispirazione, continuano stancamente a portare avanti la loro sterile proposta musicale col grosso rischio di infangare il passato ed il nome della band stessa..ma questo è un altro discorso...
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