Copertina 5

Info

Anno di uscita:2019
Durata:39 min.
Etichetta:eOne

Tracklist

  1. CHEMICAL WARLORDS
  2. BLACK OUT THE CODE
  3. NEW WORLD BEYOND
  4. DEAFENED BY THE ROAR
  5. TIME'S EDGE
  6. PRIMAL FUTURE
  7. IRON CAGE
  8. CONTROLLED BY FEAR
  9. AFTERMATH
  10. CYBERNETIC WAR

Line up

  • Joel Grind: Vocals, Guitar, Bass, Drums

Voto medio utenti

Spiace dover constatare che il thrash revival di cui i Toxic Holocaust sono stati tra i principali protagonisti dalla metà degli anni 2000 in poi abbia cominciato presto a scemare a causa di uscite sempre meno fresche e ispirate. Non può essere esclusa da questo quadro la band di Joel Grind, mastermind di una compagine autrice di uscite discografiche più che discrete come "Evil Never Dies", "Hell on Earth" ed "An Overdose of Death". Album sicuramente derivativi, che devono tutto a band come Venom e Bathory, ma che grazie a riff convincenti, un certo flavour "black" metal, alla voce marcia e raschiata di Joel e alla capacità di esprimere con grande convinzione quel suono così - purtroppo - fuori moda si sono rivelati lavori validi, in grado di conferire entusiasmo anche alle giovani generazioni per un genere sempre più lontano nel tempo e nel modo di concepire il gusto per il metal.

Già i precedenti "Conjure and Command" e "Chemistry of Consciousness" non mi avevano convinto pienamente, rimanendo dei dischi ampiamente ascoltabili ma che non graffiavano come nel passato, lasciando poco il segno. Il nuovo "Primal Future: 2019" non fa eccezione, inserendosi nella traiettoria disegnata finora dalla band, continuando dunque quel percorso di graduale perdita di ispirazione e freschezza che già cominciava a farsi palpabile nei due lavori precedenti.

La netta impressione è che i 10 pezzi che compongono "Primal Future: 2019" siano stati scritti a tavolino in non più di 3 o 4 giorni in studio e pur presentandosi formalmente in modo adeguato (produzione ben lontana dall'essere hi-fi come da manuale, stilemi del genere ben rispettati con tupa tupa e riff thrashosi, ecc) trasmettono in dosi davvero minime quell'entusiasmo di cui si parlava poco sopra. Non sono presenti grandi sussulti o brani che si elevano particolarmente sopra gli altri... le idee in effetti sono poche: i riff sono puro mestiere, incapaci di imprimersi nella mente dell'ascoltatore (anche perchè si assomigliano un po' tutti) e la sezione ritmica è ben lungi dal conferire maggiore profondità ai pezzi; le linee vocali si adeguano al contesto: la cantilena di Grind è più o meno sempre la stessa e il nostro si limita a svolgere il compitino in modo abbastanza svogliato non riuscendo a ripetere le performance passate né in termini di rabbiosità né in termini di convinzione.

Mi duole dover stroncare una band per la quale ho sempre avuto (più che) simpatia e, pur non potendo parlare di delusione (già i due precedenti, pur sufficienti, non mi avevano entusiasmato), sorprende il fatto che ci siano voluti ben 6 anni (sei!) per comporre un disco mediocre fatto con tutta evidenza senza alcuna spontaneità...
Recensione a cura di Giacomo Babuin

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