I quattro minuti dell'iniziale "Dirty letter" bastano già per intuire dove vanno a parare i Green Dollar Colour. Un classico esempio di scuola americana hard-boogie rock, antica tradizione con radici che affondano nel blues e qualche buon accenno di vigore southern, però accortamente confezionata con taglio moderno per non scivolare nel ghetto dei revivalisti. La "strana coppia" formata dal chitarrista francese De Lemos e dal cantante australiano Koritni, che deve aver molto ascoltato il suo compianto compatriota Bon Scott, si è fatta le ossa sui migliori capitoli settantiani e non nasconde di ispirarsi ai nomi dell'epoca (Aerosmith, Ac/Dc, Outlaws, Doc Holliday, ecc.). Ma i due non sono così nostalgici ed ingenui da ignorare le trasformazioni avvenute da allora, i profondi cambiamenti in campo musicale, i tanti protagonisti che hanno già raggiunto l'età pensionabile o che hanno proseguito cambiando completamente registro Così l'album prova a coniugare passato e presente, durezza old-style e brillantezza contemporanea, seguendo astutamente la regola di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte Hard classico a piene mani ma stando ben attenti ad evitare qualsiasi eccesso di ruvidità, buon groove intrigante di stampo sudista ma con taglio più compassato ed elegante, brani di ottima fattura però depurati dalle vibrazioni alcooliche e rissaiole. In sostanza l'evidente tentativo di realizzare un prodotto che piaccia ai rockers di lungo corso ma possa anche conquistare il pubblico che non ama le soluzioni rock troppo spinte In quest'ottica il disco è un successo pieno. Le canzoni sono piacevoli, trascinanti, ben equilibrate tra componenti retrò ed attuali cenni melodici adult-pop-rock che le rendono particolarmente indicate per il mercato americano. Per fare un esempio, episodi come "Emotional audit" e "No regrets" esprimono in modo perfetto questo doppio livello d'impostazione amalgamando riffs energici, ritmiche briose e ritornelli di grande effetto, con l'aggiunta di una pennellata di fisicità funkeggiante e colorando il tutto con l'esecuzione nitida e disciplinata. Se ne deduce che il trio possiede la speciale abilità di arricchire le canzoni con sfumature di orecchiabilità che le rendono gradevoli anche alla gente che mastica ben poco rock Di positivo i Green Dollar Colour mettono inoltre una discreta varietà di soluzioni, vedi l'atmosfera bluesy e polverosa di "Foot to the floor" o i forti echi Ac/Dc dello slow "I wanna know", gli assoli contenuti ma pungenti di De Lemos, l'ottima prova vocale di Koritni e la costanza delle ritmiche mid-tempo precise e quadrate, sempre prestando massima attenzione a non sforare i canonici tre-quattro minuti che permettono i passaggi radiofonici Ovviamente manca la componente grezza e sanguigna dell'hard-boogie, il volto sporco, fangoso e proletario di questo sound, l'impatto minaccioso che solitamente associo a tale filone rock. Assenza che facilmente terrà lontani dal disco gli amanti di soluzioni più grezze del tipo Roadsaw, Five Horse Johnson, Altamont o simili Ma a parte questo limite, si tratta senza dubbio di un buon lavoro classic-rock. I suoi contorni non contemplano spigoli pericolosi, si muove in ambito un po'borghese ed ambisce ad essere di largo consumo, però sono sottigliezze che non impediscono di considerarlo un valido ascolto.
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