Incredibile ascoltare i Manes pensando alla band norvegese che nel 1998 incise per la Hammerheart un disco di furioso black metal dal nome di "Under ein blodraud maane"... Sono passati cinque anni, la line-up è profondamente cambiata, e quello che ci rimane è un gruppo completamente diverso, che ha trovato la sua identità ed è pronto a sconvolgere le nostre convinzioni con il nuovo album "Vilosophe". La Code666, mai così talentuosa etichetta italiana, li descrive come un incrocio tra gli Anathema, i Radiohead e una spruzzata di Aphex Twin. Senza dubbio i Manes ereditano il groove e l'irriverenza dei primi (nonchè molte somiglianze nell'uso di un certo tipo di linee vocali), la delicatezza e l'introspezione dei secondi e le contaminazioni elettroniche degli ultimi, ma sono un entità quasi a parte, che va valutata in una campana sottovuoto per non snaturarne il sapore. L'ascolto di "Vilosophe" rappresenta una sorta di viaggio dall'inizio funambolico ("Nodamnbrakes", quasi una specie di manifesto), attraverso l'allucinante "Diving With Your Hands Bound" (forse un pò troppo prolissa), passando per strade intimistiche che mi hanno riportato al Moby di "Play", fino al maelstrom sonoro di "Death Of The Genuine" (suonata con più precisione e freddezza rispetto alla versione della compilation "Better Undead Than Alive", perdendo però qualche punto) e alla magniloquenza del sax di "Ende". Un turbinare di samples, riff, arrangiamenti psichedelici, che lascerà interdetta più di una persona... ma i Manes sono fatti così, avendo anche qualche relazione con gli Atrox che quanto a schizofrenia non temono confronti con nessuno. L'album mi è piaciuto tantissimo, mi ha emozionato e mi ha accompagnato per più di un'ora di sensazioni talmente varie ed estese da sembrarmi un'eternità... è un lavoro difficile, complesso da assimilare nell'apparente semplicità con cui i Manes maneggiano tale materia incandescente. Fa piacere pensare che probabilmente abbiamo perso solo un mediocre gruppo black metal, ma abbiamo trovato la risposta alle nostre tentazioni più avanguardistiche, cullati ancora una volta dalla dolce voce che ci ricorda che "it's just the end of the day".
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