Come un raggio di sole dopo un temporale.
La nuova fatica della storica band death/doom di Chicago è uno dei più bei regali che questo 2019 ci poteva regalare. Certo, il quintetto americano è uno dei più longevi veterani del genere potendo contare su una carriera iniziata nella seconda metà degli anni novanta del secolo scorso e forte della pubblicazione, compreso il presente “
Nephilim grove” dei ben undici album in studio (in quanti possono dire lo stesso?) con un sound che dalle prime, fortissime, influenze dei
My Dying Bride si è poi spostato nel tempo – dalla pubblicazione di
“Bled white” - ad un mix più variegato che vede la fusione anche di elementi caratteristici di
Paradise Lost, Katatonia ed
Opeth.
“Nephilim grove” è dunque un album che si basa sul fragilissimo equilibrio fra i suoi elementi costitutivi che presi singolarmente appaiono in antitesi: melodie decadenti e sound pesante, aggressività e delicatezza in cui non manca anche una certa propensione a costruire fraseggi che ammiccano volentieri ad un certo progressive psichedelico.
L’abilità dei
Novembers Doom sta quindi non solo nella fase di scrittura dei brani che costituiscono
“Nephilim grove”, ma anche nell’arrangiamento degli stessi, ottenendo, creando ed alimentando quella cupa aura melanconica che fa di fil rouge ai nove brani contenuti nel cd.
Il percorso che inizia con “
Petrichor” e termina con
“The obelus” è fatto di stazioni, di tappe che sono di volta in volta evocative o gravi a seconda dell’utilizzo delle clean vocals o del growl profondo del singer
Paul Kuhr (anche se in alcuni frangenti indugia un po’ troppo sulla teatralità a mio avviso v. la parte centrale di
“What we become”) facendo risaltare il gran lavoro eseguito della coppia di chitarristi
Vito Marchese e
Larry Roberts.
I punti di forza di “
Nephilim grove” stanno nella facilità in cui i brani rimangono impressi dopo l’ascolto, nella scioltezza in cui trascorrono gli oltre cinquanta minuti di musica che scorrono veloci come sabbia in una clessidra, e in alcuni brani davvero ispirati (valgano come esmpio la titlerack, “
Adagio”, “
The clearing blind”) e la produzione di
Dan Swanö presso gli Unisound Studios che, da parte sua, è ben entrato in sintonia coi N
ovembers Doom.
Punti deboli? Forse – ma sottolineo forse – è mancata la volontà da parte della band di fare un piccolo passo al di fuori della propria zona di comfort, puntando su ciò che un fan della band si aspetta da loro. Ma è un appunto personale che non va letto come una “accusa” nei loro confronti.
Nei fatti
“Nephilim grove” è un disco che soddisferà al vostra vena melancolica ed introspettiva, entrando piano piano nel giro degli ascolti continui di quest’anno insieme ai grandi altri lavori di death/doom e death melodico usciti nel 2019.
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