Il tanto reclamizzato e chiacchierato progetto musicale di “Thomen Stauch ex batterista dei Blind Guardian e Bjorn Strid cantante dei Soilwork” (così su tutte le testate da qualche mese) si è finalmente concretizzato. Partorito qualche anno fa lungo le sconfinate highways americane dalla mente (malata?) di Mi Schiren, il tastierista che segue i Blind Guardian dal vivo, e dal già citato drummer, “Completion makes the tragedy” avrebbe dovuto essere cantato da Skin (andatevi a leggere l’intervista con Thomen se non ci credete!) ed ha finito invece per usufruire del contributo del buon Bjorn Strid, che non ha scritto i brani ma che ha offerto una performance che pesa comunque come un macinio.
Avevamo lasciato l’ex guardiano cieco alle prese con un modesto tentativo di riportare in vita “Somewhere far beyond” e “Imaginations from the other side”, e lo ritroviamo qualche mese dopo impegnato con sonorità “fredde” e moderniste: un bel colpo per i puristi ad oltranza!
Di primo acchito, i Coldseed sembrerebbero proprio la band che non ti aspetti: come mettere un batterista di power metal, un tastierista turnista (ok, scusate non lo faccio più!), uno sconosciuto chitarrista spagnolo e un cantante di melodic death sullo stesso disco e sperare che venga fuori qualcosa di coerente. A conti fatti invece, questo “Completion makes the tragedy” è semplicemente un altro lavoro di metal moderno, quello che si chiamerebbe “nu” se a farlo fossero stati musicisti affezionati alle etichette invece che quattro amici convinti di aver fatto la cosa più innovativa del momento.
Certo, le note della Nuclear Blast sono accattivanti, i nomi coinvolti ancora di più, ma il prodotto tra le mani è ordinario ad un livello francamente deludente.
Non fraintendete: le canzoni sono belle e ben bilanciate tra parti violente e aperture melodiche (l’accoppiata iniziale “My affliction” e “Democracy lesson” è paradigmatica), la prova dei musicisti coinvolti è straordinaria (Thomen è tutto da scoprire, per come ha saputo adattare il suo stile ad una musica così lontana dal suo solito background e rimanere il solito alieno di un’altra galassia), la produzione senza sbavature e anche l’artwork dice la sua. Dove sta il trucco? Da nessuna parte, semplicemente questo primo lavoro dei Coldseed non cambierà le coordinate dell’heavy metal, e tanto meno darà una scossa ad un genere in preoccupante caduta libera. Il progetto di creare qualche cosa di assolutamente originale, di assolutamente mai tentato, naufraga senza troppi clamori: siamo di fronte a dei Soilwork un po’ più melodici e meno nervosi o, se preferite, a degli In Flames meno “americani” ma che non hanno per questo ricordato di essere svedesi. Strid canta in maniera molto più personale e versatile, utilizzando le timbriche pulite con grande abilità, e spingendosi su territori a lui sconosciuti, tanto da risultare spesso e volentieri irriconoscibile. Anche le tastiere sono molto particolari, con grande impiego di campionamenti ed effetti vari che tuttavia non rendono questo un disco “elettronico”. Detto questo, non c’è nulla, veramente nulla di eclatante e alla fine dell’ascolto si ha l’impressione di avere di fronte una band di cui probabilmente non si sentiva il bisogno…
Se proprio però volete trovare la novità a tutti i costi, allora diciamo che la traccia numero 5, “Burning with a shade”, potrebbe essere quello che fa per voi, dotata com’è di un incedere ipnotico ed inquietante che la rende piuttosto differente dal resto del disco. Songwriting di alto livello anche per “Reflection”, unica ballata presente, un brano sofferto e sentito in cui Bjorn gioca a fare il cantante serio e ci riesce per davvero.
A questa uscita è legata comunque una domanda sfiziosa: “Completion makes the tragedy” verrà comprato più dai fans dei Soilwork o da quelli dei Blind? Francamente non saprei, ma spero proprio che siano i primi a prevalere, altrimenti i Coldseed avranno una folla di delusi da tenere a bada…
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