Tony D'Urso è uno di quei magnifici artigiani del rock che operano da tempo sul territorio nazionale, immersi nell'ombra ed ignorati da qualsiasi carrozzone mediatico. Di conseguenza i suoi Abiogenesi sono la classica formazione destinata ad essere apprezzata da pochi intenditori selezionati.
Troppo lontani da qualsiasi moda, troppo immersi nel passato, troppo profondi e ricercati nelle soluzioni, la loro proposta pur non avendo alcuna ambizione elitaria possiede dei contenuti che ne escludono la diffusione tra il superficiale pubblico di massa.
Eppure gli Abiogenesi sono tra i pochi veri eredi di una tradizione che per tutti gli anni '70 vantava qui da noi un seguito consistente. Mi riferisco a quell'hard rock progressivo colorato a tinte fosche, riconducibile in maniera completa o almeno in parte a nomi di culto come Black Widow, Atomic Rooster, High Tide, Iron Butterfly, ecc. A completare lo stile della band, sull'impianto di linee dure e pennellate dark interviene anche una massiccia presenza di atmosfere vellutate e velate di psichedelia, ispirate da colossi quali Pink Floyd, Van Der Graaf e King Crimson, con il risultato di una musica incantevole in fatto di purezza e poesia.
E' bene dire subito che il presente album è sconsigliato a chi cerca solo fisicità e rumore. Qui ci muoviamo su un piano del tutto opposto, fatto di linee trasparenti, di raffinata malinconia, di sofferta intensità, con una vibrazione tragica ma delicata che attraversa l'intero lavoro e lo porta ad essere indicato per coloro che apprezzano i suoni trasformati in vivide emozioni.
Davvero difficile riassumere con le parole i temi affascinanti ed i suoni cristallini utilizzati da D'Urso e compagni per questa opera. Diciamo che già l'apertura affidata ad una coppia di estese volate strumentali, piene di oscillazioni tra spunti hard di vecchia scuola ed oscure dilatazioni sfumate, rendono l'idea di un disco che si distacca dalle soluzioni di facile consumo. Inoltre le due tracce sono legate tra loro dalla comune appartenenza ad una colonna sonora, che gli Abiogenesi hanno composto per un film horror di un regista italiano del circuito underground.
Ma proseguendo incontriamo momenti ancora più elevati, come il rock progressivo arioso e sognante di "Lontano" e "Belfagor" o ancora della più acida e vagamente Hendrixiana "Vampire blues", nelle quali sfondi ammalianti costituiti da ritmiche sinuose ed oscure tastiere accentuano il lirismo dominante degli assoli del chitarrista, vere magie di limpidezza struggente che imprigionano come non mai il nostro sguardo su immagini di altri tempi.
Un altro aspetto che non può essere tralasciato è quello della reinterpretazione di alcune famose canzoni, che il gruppo rinnova con una originalità che arriva fino alla creazione di nuovi testi in lingua italiana. Così la celebre "Lady in black" degli Uriah Heep diventa una dolce e cupa "Di nero vestita", mentre il successo dei Camel "Never let go" si trasforma nella toccante "Amico ti penso", gioiello dark-rock dove la chitarra di D'Urso si libra solitaria ad altezze siderali, ed infine il trattamento include anche "Mary Clark" dei Black Widow, certamente uno dei modelli primari per la band.
In tutti questi episodi, ed aggiungiamo il lungo finale nuovamente strumentale "Sabba vampire", non può essere taciuto il contributo di svariati ospiti, tra i quali citiamo almeno Marco Cimino e Gigi Venegoni degli storici Arti e Mestieri, che punteggiano il sound con i loro interventi di flauto, sitar, tabla, synth, mellotron, così da completare la sensazione di una musica creata per fluttuare liberamente in una dimensione priva di età.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire su questo album, ma non cambierebbero la sostanza di ciò che è stato descritto. Un lavoro che affonda le radici nel passato per riadattarlo in ottica personale, matura, fresca e di grande eleganza. Assolutamente consigliato, anche per il fatto che rischia seriamente di non avere alcun seguito, vista la dichiarata intenzione di Tony D'Urso di sciogliere la formazione per dedicarsi ad altri progetti.
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