Mi sono stupito un po’ nell’apprendere della trasformazione stilistica degli
Aerodyne, autori nel 2017 di un pregevole e apprezzato albo di
sleaze-metal (dalle sfumature
pop- punk) intitolato “
Breaking free”.
Passano due anni e ritrovo gli svedesi rimaneggiati nella formazione (bassista e cantante nuovi, con
Daniel Almqvist che abbandona il microfono per concentrarsi sulla chitarra) e votati a quella
NWOBHM che con alcuni dei suoi maestri incontrastati (Iron Maiden, Saxon, Motörhead, Judas Priest, Diamond Head, …) diventa il principale riferimento ispirativo di “
Damnation”.
Come valutare questa “conversione”? Beh, diciamo abbastanza positivamente (almeno dal punto di vista dei risultati sonori), ma se l’intento era di scalzare i connazionali Enforcer dal loro ruolo di “svedesi più britannici” della scena
HM internazionale, forse sarà meglio, per il momento, ridimensionare le proprie ambizioni.
Intendiamoci, il disco suona potente e incisivo, la
band è in forma e moderatamente ispirata e piacciono anche quelle sporadiche scorie di virulenza
stradaiola (qualcosa tra i primi Motley Crue, Shotgun Messiah e Crashdïet) che ancora affiorano nel
sound dell’opera, ma da qui a rappresentare un punto di svolta nelle gerarchie del
revival metallico odierno, ce ne passa parecchio.
Accontentiamoci, dunque, di tre quarti d’ora abbondanti di musica tagliente, coinvolgente e piacevolmente prevedibile, alimentata, per ben iniziare, dalle pulsazioni corroboranti di “
Out for blood” (che arriva dopo l’
intro “
Hellsiah”, vagamente alla Metallica), dalle accelerazioni di “
Kick it down” e dalle cadenze striscianti e
anthemiche di “March davai” (con un pizzico di fantasia, una specie di Offspring nati a Londra).
Il “tiro” di “
Murder in the rye” non farà fatica a entrare in circolo nei sensi degli appassionati del settore, e lo stesso destino è riservato a “
Under the black veil”, con i suoi
riffoni e la melodia adescante, alla caliginosa
title-track e all’aggressione di natura
speed-metal di “
Kill or be killed”.
Il tocco esotico e i chiaroscuri di “
The nihilist” rendono il brano il mio preferito del programma, mentre con “
Love, eternal” gli
Aerodyne riprendono a galoppare su terreni maggiormente “sicuri”, affidando all’ennesimo inno cromato di matrice Maiden-
iana le proprie mire di adescamento.
Pur favorevolmente colpiti da “
Damnation”, è necessario rilevare la mancanza di un preciso “carattere” che lo distingua dalle numerose produzioni analoghe contemporanee, aspetto che finisce per certificarlo come una competente ed energica operazione di “riciclaggio”.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?