Sono un fan dei
Molly Hatchet fin dal tempo loro storico debutto ("Molly Hatchet", 1978) ed i suoi seguiti di grande successo ("Flirtin' with disaster", 1979; "Beatin' the odds", 1980; "Take no prisoners", 1981; "No guts...no glory", 1983) e li ho sempre considerati come gloriosi eredi del southern rock settantiano degli storici Lynyrd Skynyrd, Allman Brother Band, The Outlaws, ecc, con attitudine un pò più hard ed aggressiva. Ma di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta, così oggi di quei fieri protagonisti del sound sudista non c'è più nessuno e la band rimane in piedi grazie all'impegno del chitarrista
Bobby Ingram, entrato nei Molly alla fine degli anni '80 in sostituzione del fondatore Dave Hlubek e diventato punto di riferimento assoluto della band.
Con
Ingram al comando, la formazione di Jacksonville ha proseguito dignitosamente la propria carriera fino ad oggi, producendo una serie di album buoni o discreti (vedi "Devil's canyon", 1996 o "Warriors of the rainbow bridge", 2005), senza però raggiungere più le vette iniziali della propria discografia. Inoltre, proprio quest'anno, è venuto a mancare un altro pezzo importante della storia del gruppo: il cantante Phil McCormack, deceduto in aprile a soli 58 anni. Phil aveva preso il posto del mitico Danny Joe Brown, vocalist degli album di maggior successo e tanto bravo quanto personalità problematica, anch'egli scomparso una decina di anni fa.
Forse per esorcizzare l'ennesima sventura, i
Molly Hatchet pubblicano per
Steamhammer un album dal vivo (doppio cd o triplo Lp) che ripercorre i momenti salienti della loro lunga e memorabile carriera. I brani sono stati registrati durante l'ultimo tour europeo (in Svizzera e Germania) ed il tour americano per il quarantennale della band. Una ventina di canzoni che comprendono soprattutto i grandi classici degli anni d'oro come "
Bounty hunter", "
Beatin' the odds", "
Whiskey man", "
Flirtin' with disaster", "
One man's pleasure", "
The creeper", ma anche episodi del secondo periodo come "
American pride", "
Gonna live 'til I die", "
In the darkness of the light" e "
Justice" prese da "Justice" (2010), "
Son of the south" (da "Warriors of the rainbow bridge"), "
Devil's canyon" dall'album omonimo, "
Why won't you take me home" (da "Kingdom of XII", 2001). L'aspetto forse più rilevante ed interessante di questo lavoro è valutare la prestazione del nuovo vocalist
Jimmy Elkins, sul quale aleggiano i fantasmi di tre figure carismatiche come Brown, Farrar e McCormack (vent'anni come vocalist della band). Diciamo che l'esperto
Jimmy se la cava egregiamente, grazie ad una timbrica real-southern molto simile a quella machista di Brown, con qualche inevitabile calo in qualche brano ma una resa generale sicuramente di ottimo livello.
Ingram si sobbarca tutto il lavoro chitarristico con una dedizione quasi commovente, ma in qualche caso si sente la mancanza di una sponda (ad esempio, questa versione della straordinaria "
Fall of the peacemakers" manca di qualcosa), mentre il resto della band svolge il proprio compito in maniera impeccabile. La registrazione live è limpida e moderna, cosa che comunque non attenua quell'enorme dose di groove, calore e potenza rock alla quale la formazione della Florida ci ha abituato fin dalla fine degli anni '70.
Certamente questo "
Battleground" non raggiunge le vette dello storico "Double trouble live", retaggio di un'altra epoca, ma risulta senz'altro un buon prodotto specie per i fans che hanno seguito i
Molly Hatchet lungo tutta la loro fulgida carriera.
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