Il progressive è, per definizione stessa, il sottogenere più ampio e sperimentale del metal, un fenomeno di portata talmente vasta ed eterogena che, nel corso della sua storia, ha spesso oltrepassato i rigidi paletti imposti dalla musica pesante, sconfinando in territori apparentemente inappropriati ma che invece, alla lunga, si sono spesso rivelati terreni fertili per l’intero movimento mentre, altre volte, le sperimentazioni non hanno avuto seguito, risultando inconcludenti. Pertanto, a fronte di quanto appena esposto, appare evidente che, inquadrare nella sua totalità un lavoro appartenente alla corrente tradizionale del prog-metal, (quella tanto per intenderci che discende direttamente dalle “opere magne” scritte negli anni 90 dal glorioso “Teatro del Sogno”), non è sempre un compito semplice ma anzi, molte volte richiede più ascolti e nel tempo, il giudizio può anche cambiare in maniera netta, ed è proprio questo quello che accade con l’ultimo album dei
Sonus Corona, simpatico sestetto finlandese, intitolato
Time Is Not On Your Side.
Perchè ho definito la band simpatica? Semplice, è la prima definizione che mi è venuta in mente mentre ascoltavo la quarta traccia di questo lavoro, intitolata
Swing Of Sanity, in cui il metal, a testimonianza di quanto precedentemente affermato, sfocia e si fonde addirittura con lo swing, una corrente musicale completamente diversa eppure, nonostante l’apparente inconciliabilità tra i due generi, l’esperimento sembra funzionare e anche bene, tanto che viene in parte ripetuto anche in
Unreal, pezzo dalla sfumature jazzate, sebbene introdotto da archi ed arricchito anche dalla presenza di un violino (e vai di sperimentazioni!), ma indubbiamente molto più metal. Anche gli altri brani posti nella prima metà del disco funzionano meravigliosamente, da
The Refuge che nelle composizioni ricorda alcuni lavori passati dei Threshold, alla semplice ma accattivante
Oblivion, mentre nella title-track emerge, soprattutto nel cantato e nell’assolo, il lato più melodico della band, nonostante il pezzo sia retto da riffs di chitarra abbastanza taglienti ad opera del duo composto da
Ari Lempinen e
Harri Annala. E cosi, dopo un intermezzo abbastanza anonimo come
Illusions, si passa alla seconda parte del disco, che si apre con i synth di tastiera a cura del bravo
Esa Lempinen, che introducono la strumentale
Moment Of Reckoning, traccia che ricorda nemmeno troppo da lontano, i pezzi più riusciti dei norvegesi Pagan’s Mind (a proposito, ma qualcuno sa che fine hanno fatto?) e anche qualcosa degli svedesi Andromeda, comunque questi quasi 6 minuti senza il cantato scorrono che è un vero piacere per le orecchie, non me ne voglia il frontman
Timo Mustonen (il Timo vocalmente meno dotato della Finlandia, tuttavia gradevole..ma del resto era difficile competere con i suoi omonimi, in particolare con quello più famoso!), con continui cambi di ritmiche e melodie, e la band dimostra, non solo delle buoni doti tecniche ma anche l’indubbio gusto per le composizioni ed una invidiabile freschezza creativa, che emergeva chiaramente anche nelle riuscitissime sperimentazioni dei brani precedenti. Forse un piccolo cedimento, a mio avviso, lo si ha in
To The Ground e
Fading, due songs in cui i
Sonus Corona rinunciano momentaneamente alle sperimentazioni per adagiarsi su territori meno impervi, di chiara origina dreamtheateriana, ma nella conclusiva
Here la band torna nuovamente ad osare e lo fa alla grande, fondendo influenze musicali diverse, derivazioni dei mostri sacri, ritmiche in costante mutamento, melodie cangianti, dando vita all’epilogo migliore che il disco potesse avere, insomma a conti fatti, questo album è forse il classico prototipo di progressive metal moderno (nonostante le inevitabili e palesi derivazioni) nell’accezione tradizionale del termine, che ogni amante del genere vorrebbe ascoltare oggi.