Con colpevole ritardo, dovuto a quintalate di dischi sulla mia scrivania e qualche disguido telematico, mi accingo a presentarvi la seconda fatica dei capitolini
Agony and Ecstasy che, dopo l'esordio del 2016 "
Alter-ed Ego", tornano con un nuovo lavoro a fine 2019 dal titolo "Ashes of Tomorrow", ancora una volta firmato dall'accoppiata
Francesco Liberati alla chitarra e tastiera e
Valerio Caricchio alla voce (stavolta accompagnati da
Gianluigi Uzzo Costa al basso) entrambi reduci dall'esperienza di inizio 2000 con quella band meravigliosa che erano i
Mysterhydden.
Rispetto al predecessore, il nuovo "
Ashes of Tomorrow" punta in generale molto meno sulla componente più thrashy ed aggressiva, a parte sporadici episodi sullo stile dell'incipit dell'ultimo brano "
The Lighthouse Of Wretched Souls", e preferisce accostarsi ad una dimensione più drammatica e magniloquente, scandita da ritmi maggiormente dilatati ed intepretati in maniera più teatrale da Carricchio, ancora più convincente rispetto al passato.
Sin dall'iniziale ed eclettica "
Rasputinesque" si avverte questo cambiamento, in cui l'aura dei vecchi
Savatage (era
Jon Oliva) è assai più preponderante che in passato, riportandomi alla mente le vecchie atmosfere che si respiravano a cavallo tra "
Hall of the Mountain King" e "
Gutter Ballet" e che emergono ancor più nelle successive "
The Warmless Burning", in cui ritorna quel sopor malinconico che aveva fatto capolino sin dall'esordio e che nel giro di pochi ascolti è divenuta tra le mie favorite del disco, e la rocciosa "
Rise Of Disciple's Fall", più "moderna" nel suo incedere prima di abbadonarsi in un chorus molto a-la Nevermore, altra band amata dal combo romano.
Il disco è molto equilibrato, non ci sono parti meno valide o brani sotto la media, al contrario ogni tanto emerge ulteriormente qualcosa di molto interessante, come la semi-ballad "
Out Of The Sun", molto sentita ed emozionante, con quel mood ottantiano che scalda i cuori.
La produzione, seppure certo non ad alto budget, è davvero ben curata: spinge dove c'è da spingere, con un bel suono delle chitarre rotondo e possente, con ogni strumento bel definito (voce inclusa), ed il tutto arricchisce non poco brani che già partono col piede giusto, tra i quali spicca nuovamente "
Alternativity", forse il migliore di un lotto che in ogni caso come detto non presenta cedimenti.
Un album ancora più maturo del già buon debutto che offre un metal vecchia scuola, roccioso ed intenso ma non obsoleto ed al contempo con un taglio moderno che non guarda in maniera esclusivamente nostalgica al passato, seppure con enorme rispetto e gratitudine.
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