“
L’anima che anela all’eternità, deve sottrarsi al giogo della morte, tu o viandante, alle soglie delle tenebre, vieni…”
I blacksters lombardi nativi della provincia bergamasca
Imago Mortis tornano dopo ben sei anni di distanza dal precedente album “
Carnicon”.
C’è da aggiungere che la band, ora divenuto un trio, ha sempre seguito l’ortodossia black metal ma aggiungendo personalità non solo a livello musicale e compositivo, ma anche lirico.
Perché la band guidata dal bassista e cantante
Abibial è orgogliosa delle sue radici e Storia con la esse maiuscola, tanto che le liriche di ogni disco affondano radici storiche delle lande lombarde in epoche antiche, leggende nostrane o in oscuri culti, il tutto argomentato con linguaggio aulico ed antico.
La copertina di questa nuova fatica si ricollega con l’album precedente, con la riproposizione della figura incappucciata devota a culti esoterici che ci tiene dischiuso un portone antico, però ammonendoci col gesto del dito sulla bocca a rispettare il silentium, perché il culto è per pochi.
Il disco comincia con “
Al passo con l’eresiarca”, brano denso di oscurità con un approccio iniziale doom pesante e ossianico.
Le chitarre nere e gelide poi aumentano con aggressività nei cambi di tempo veloci e serrati; la voce di
Abibial è alta, acida e numerosi sono le variazioni ritmiche che danno fluidità all’incedere del brano.
A metà del brano la band inserisce anche trame acustiche a incrociare le sei corde elettrificate, che rendono più minacciosa la composizione che rallenta nel finale.
“
Nera mistica”, è un brano di classico e puro black metal con le chitarre in tremolo nella tradizione nordica e con tempi veloci.
La band è compatta, si sente il trasporto emotivo di tutto il gruppo ben interpretato dal singer bergamasco; anche qui i cambi di tempo giocano a favore donando varietà al brano.
Con “
Pactum est…”, i nostri tornano al doom ma con un omaggio sabbathiano rivisto con un’ottica maligna che poi accellera in una sfuriata.
Il brano è dinamico, feroce e con rallentamenti mortiferi, con il singer che alterna bene un timbro acido ad uno aggressivo e cori puliti a dare pathos diabolico.
Ma è con il brano “
Horribile cose che ne’ boschi” che la band si supera; un brano che sembra una piccola pièce teatrale.
Le liriche raccontano un fatto vero avvenuto in terra bergamasca che mischia italiano antico e dialetto.
I due “attori” in campo a reggere il discorso magistralmente sono il singer e l’ospite speciale nientemeno che
G/ Ab Volgar leader e voce dei grandi
Deviate Damaen.
La track inizia in maniera cadenzata con riffing serrati e nerissimi per poi ecco arrivare percussioni e chitarre acustiche con voce recitante pulita; come controcanto la marcia cambia con aggressività e screaming vocals, il finale è da brividi.
“…
In libro diaboli” chiude il cerchio nero collegandosi alla terza traccia, con gli stessi cori salmodianti e sacrileghi; anticipati da rumori di tregenda tempestosa e un crescendo diabolico con chitarre elettriche ed acustiche e non solo fino alla conclusione.
Grande affresco estremo che unisce tradizione, personalità e orgoglio delle proprie radici e cronache antiche; un disco da avere e assaporare alla fioca luce di una candela nelle tenebre, il patto è giunto!
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