L’ho sempre pensato e oggi che la frenesia e le varie piattaforme di condivisione e
streaming di contenuti musicali hanno per certi versi complicato ulteriormente la faccenda, ne sono ancora più convinto: un "vero"
rockofilo non dovrebbe mai giudicare una produzione discografica dal singolo che ne anticipa l’uscita.
Prendete questi
Dirty Shirley, che vedono coinvolti un maestro della chitarra metallica e uno dei
vocalist maggiormente dotati dell’ultima generazione … ascoltare “
Here comes the king” potrebbe bollare l’intero progetto come l’ennesima, godibile, reiterazione dell’immarcescibile arte griffata Rainbow / Dio /
Sabs, sviluppata con approccio competente e magari un po’ troppo didascalico.
Errore … perché in realtà “
Dirty Shirley” è un lavoro decisamente più articolato, in cui il vulcanico
George Lynch (Dokken, Lynch Mob, KXM, The End Machine, …) e l’astro nascente
Dino Jelusic (Animal Drive) mescolano con disinvoltura
heavy rock,
blues,
hard,
grunge e
psichedelia, sorprendendo parecchio chi si aspettava una “semplice” riproposizione di sonorità maestose ed evocative.
Un
album di concezione quasi “Zeppelinesca”, direi, per l’eclettismo stilistico che ingloba nei suoi solchi e per la voglia di “sperimentare”, seppur nei rigorosi confini del
rock n’ roll, che i nostri esprimono sfruttando abilmente le loro incredibili qualità tecnico-interpretative.
Sostenuto dal basso di
Trevor Roxx e dai tamburi di
Will Hunt (ma non dimentichiamo il missaggio curato dall’onnipresente
Alessandro Del Vecchio), il programma, dopo la possente
opener, si sposta con “
Dirty blues” su coinvolgenti e scanzonati sentieri
sleazy di marca Aerosmith-
iana, per poi immergersi, attraverso le note scure e inquiete di “
I disappear”, in atmosfere care agli indimenticabili Alice In Chains, il tutto conservando spiccata fluidità e una notevole forza espressiva.
A ratificare l’orientamento “mutante” dell’opera, arrivano la splendida ”
The dying”, palese dimostrazione di come l’
hard-rock “classico” possa essere emendato da fastidiose patine manieristiche, una “
Last man standing” all’altezza dei migliori Alter Bridge e il contagioso dinamismo di “
Siren song”, figlia legittima di Rainbow e Lynch Mob.
Il clima vellutato e notturno di “
The voice of a soul” materializza l’immagine di una sorta di Bad Company del terzo millennio e se “
Cold” pulsa di straniante
funky e
soul alla maniera dei KXM, l’estro di
Lynch prende risolutamente il sopravvento nelle illuminazioni
blues/fusion di “
Escalator to purgatory”, nelle fascinose stravaganze soniche di “
Higher” e nelle magnetiche liquidità esotiche di “
Grand master”, che lo confermano, qualora ce ne fosse bisogno, un musicista assai creativo e tutt’altro che appagato e demotivato.
Sottolineando, infine, l’eccezionale prestazione vocale di
Jelusic (degno discepolo di
R. J Dio,
Coverdale,
Jorn,
Russell Allen e forse addirittura più duttile dell’ottimo
Ronnie Romero, tra i suoi principali “rivali” nel raccogliere adeguatamente eredità tanto impegnative), non mi resta che esortarvi, in linea generale, ad ascolti integrali e attenti, consigliandovi, nello specifico, di applicare tale precetto a “
Dirty Shirley”, un disco che a dispetto della “apparenze” (compresa la poco attraente veste grafica), sa essere fantasioso e garantire un cospicuo appagamento
cardio-uditivo.