Con nove albums ed una dozzina di singoli realizzati dall'86 ad oggi, i Sex Museum si sono guadagnati il diritto di essere considerati i più importanti veterani della scena hard rock spagnola. Però soltanto con l'uscita di "Sonic" ('00) il nome del gruppo madrileno ha cominciato a circolare anche fuori dai confini nazionali. Ed è poi con "Speedkings" ('02) che ha ottenuto un certo credito a livello europeo, forse più tra gli appassionati dell'area stoner che tra i puristi dell'hard rock. In effetti il disco sembrava andare incontro alle esigenze di quel filone, con l'inserimento di elementi heavy-psichedelici, qualche atmosfera dilatata e marcate fughe chitarristiche. Però alla luce del nuovo "United" dobbiamo supporre che i Sex Museum amino modificare spesso la loro impostazione stilistica, o forse che la loro vera natura era rimasta repressa troppo a lungo e necessitava di sfogarsi. Perchè questo album presenta un netto ed inaspettato cambio di direzione rispetto al precedente. Già l'opener "Ghost without a will" ed ancora di più la seguente "I've lost my faith", sono indicative di un radicale alleggerimento del sound ma anche della metamorfosi riguardo l'atmosfera del disco. Niente più durezze settantiane, spariti i graffianti riffs di chitarra e le ritmiche potenti, vaporizzate le influenze psych o le pulsanti vibrazioni stoner, ora i Sex Museum sembrano diventati una gradevole e spensierata garage-band melodica dalle gentili sonorità molto sixtiees. Perfino della marcata impronta Deep Purple che pareva indissolubile negli spagnoli sono rimaste solo le briciole, se ne trovano di piccole in "I won't go back" e "Outrageous woman", ma si tratta casomai di un omaggio ai primissimi esordi pre-'70 del colosso britannico, certo non alla sua fase matura. Si rivela invece grande protagonista del lavoro la tastierista Marta Ruiz con le sue sonorità quasi beat, vedi ad esempio le gioiose e trasparenti tracce ultra-vintage "Madrid", "Mother nature" e "Talk about the good times", fortemente influenzate dal brit-pop radiofonico degli anni '60. Stesso discorso vale per "Something for real", soltanto con un diverso taglio lievemente più acido e malinconico. Il singolo estratto dall'album, "I enjioy the forbidden", rappresenta poi in modo perfetto l'attuale proposta degli iberici: un'esile temino solare accompagnato dal sottofondo di hammond, impostato sulla melodia adolescenziale e sui graziosi coretti in stile surf-californiano. Decisamente un bel cambiamento rispetto ad un brano spesso come "Fumando marihuana". Ignoro cosa sia successo ai Sex Museum durante la lunga pausa tra il precedente lavoro e questo, ma ovviamente rispetto le loro scelte ed il desiderio di cambiamento. Solo che a mio avviso non ha funzionato per nulla. Il disco è privo di tensione, impalpabile, spuntato, sembra il parto di una antica band di collegiali non di validi rockers stra-veterani. Oltretutto le canzoni non brillano neppure troppo in fatto di orecchiabilità ed offrono la forte sensazione di essere completamente fuori dal proprio tempo. Spiace perchè i Sex Museum ci hanno fatto sentire buone cose in passato, ma questo "United" è un vero e proprio passo falso.