L'abbordarsi a questa nuova fatica degli americani Mastodon è stato abbastanza difficoltoso. Le aspettative per questo terzo disco, storicamente tappa fondamentale per la carriera di un artista, sono cresciute in maniera esponenziale dopo tutta una serie di eventi concatenati tra loro. In primis un'ascesa che ha dell'incredibile; nel breve volgere di quattro anni, la band di Troy Sanders, ha di fatto smontato e rimodellato un genere enorme come il post hardcore. Termine che significa davvero milioni di cose, ospitando al suo interno decine e decine di bands aventi un unico comunque denominatore, l'hardcore appunto, ma che sviluppano il proprio sound spesso agli antipodi l'uno con l'altro. Rimane il fatto concreto che con due soli full lenght hanno distrutto tutto intorno a loro, con una proposta musicale fresca, questa volta per davvero, seducente e tremendamente di qualità. Oltre al songwriting alieno, il quartetto ha esportato in sede live tutta la propria energia e maestria, mostrando che le composizioni intricatissime, soprattutto quelle del debut, sono facilmente eseguibili per mostri come loro. Quindi, ci troviamo tra le mani: un paio di dischi esplosivi, un songwriting eccellente, una capacità live mostruosa. Cosa può mancare per completare l'opera? Un deal con una major, ovviamente. Sintomo palese dell'incredibile appeal che i Mastodon suscitano nel mercato musicale. Ed è così che i tentacoli della Warner, tramite la propria sussidiaria Reprise, hanno avvolto la creatura musicale di Atlanta. Avere tra le mani questo " Blood Mountain " è quindi per me un onore. Ma anche un onere, dato tutte le sensazioni che il mio preambolo ha ben spiegato. Complicato sciogliere la matassa mentale, anche dopo svariati ascolti. Il timore, neanche tanto velato, che un contratto con una major, potesse aver ammorbidito la musica dei nostri, è sempre stato dietro l'angolo. A conti fatti, questa svolta nel loro sound, c'è stata? Difficile dare una risposta certa, bianca o nera che sia; il grigio è la tinta dominante per questo nuovo platter. Non attribuite però un connotato negativo al termine da me appena usato, semplicemente una vasta scala di grigi ben rappresenta il succo di " Blood Mountain ". Opera complessa e complicata, la cui assimilazione necessita di tempo, pazienza ed apertura mentale. L'opener " The World Is Loose " ha un incipit simile alla devastante " Blood And Thunder ", anche se presenta sin da subito un diverso uso delle vocals, con aperture melodiche davvero inaspettate. Il solito drumming infernale di Bran Dailor detta i ritmi, insostenibili per moltissime altri acts, e tutta la band si esprime sin da subito con le classiche e debordanti colate di riffs. Un letale biglietto da visita, un ottimo antipasto per la successiva " Crystal Skull ", anch'essa impregnata sul sali e scendi ritmico dei nostri. Stare dietro a tutte le soluzioni presenti nell'arco di uno stesso brano è un'impresa ardua per tutti. A questo aggiungeteci un lavoro incredibile apportato alle linee vocali, con un alternarsi tra crudo screaming hardcore e voci soffuse ( una sorta di bastone e carota, insomma ). Prima grande sorpresa del disco? Un solo di chitarra pauroso, da sbrodolarsi nelle braghette, grondante seventies da ogni singola nota. Brividi. " Sleeping Giant "...beh, che dire di una canzone che è perfezione? Forse che non c'entra nulla, o quasi, con i " vecchi " Mastodon? Verissimo, ma lasciatevi cullare dall'arpeggio iniziale, prima che il brano si dipani in un accogliente dedalo tra Black Sabbath, Black Label Society e...vecchi Mastodon ( la parte finale è densa della follia/destrezza compositiva dei nostri, con un assalto di riff lenti e circolari, quasi ipnotici... ). Dopo questo trittico iniziale da infarto, arriva la mazzata finale, probabilmente l'apice compositivo dell'intero disco, ossia " Capillarian Crest ". Una traccia che, in soli quattro minuti e mezzo, condensa idee per altri due albums. Ma parliamo dei Mastodon, quindi tutto torna. Così come tornano, sporadicamente, chiare reminescenze seventies, anche se il brano, soprattutto nella parte iniziale è una celebrazione al dinamismo ritmico che ha sempre contraddistinto i nostri. Un netto ritorno alle origini della band è certamente " Circle Of Cysquatch ", forgiata su un riffing nervoso, con un mood decisamente più diretto e oscuro. Il break con la voce filtrata è dannatamente efficace, donando quel tocco in più al brano. " Blade Catcher " è un giro di boa, un esercizio di stile alla Fantomas, risultando comunque piacevole. La seguente " Colony Of Birchmen " è un altro chiaro omaggio ai Sabbath, ed allo stoner tutto, con quelle atmosfere lente e polverose ed un cantato molto ispirato. Il disco ha un netto calo con " Hunters Of The Sky ", poco incisivo, senza una vera e propria identità. A parte il solito esaltante lavoro dietro alle pelli, il brano scorre senza alcun sussulto. Un granellino di sabbia che non rovina assolutamente la festa, dato che con " Hands Of Stone " si ritorna in carreggiata. Inizio terremotante, vocals che mi hanno ricordato il Chuck Billy d'annata, ed un break con tanto di riffing Maideniano. Il brano prosegue compatto, nonostante i repentini cambi d'atmosfera, mentre Bill Kelliher ci regala un'altra gemma di assolo. Il finale inoltre è pura dinamite!!! Un lungo arpeggio ci introduce al brano manifesto di questo " Blood Mountain ". Un brano lisergico, profondamente spirituale nel suo incedere arioso. Vocals filtrate, chitarre che graffiano in maniera dolce ed un refrain che irrompe sulla scena, con un break quasi rappato ( prendete con le molle questo termine, ok? ). Nota di merito per le soluzioni adottate dai due chitarristi, i quali irrorano tutto il pezzo con lunghe digressioni Sabbathiane. " This Mortail Soil " è il il titolo, ed è tutto questo. Qualche spora del vecchio sound viene abilmente cinta da una corazza tipicamente rock; " Siberian Divide " è infatti un brano rock, con qualche apertura più decisa, ma le coordinate sono quelle del rock di qualche anno fa, mentre " Pendulous Skin " è un autocompiacimento del proprio status di sciamani lisergici, uno status che la band americana ha indossato da poco, anche se l'abito calza già a pennello. In definitiva, ci troviamo tra le mani un disco molto bello. Poco importa se la sostanza della band è parzialmente cambiata, anche questa è evoluzione. Ripartire da ciò che si è creato, plasmare la propria Arte, suggellando il tutto con un lavoro onesto, sudato e sincero. Di fatto i Mastodon sono diventati più cantautoriali, se mi passate il termine. Uno dei dischi dell'anno senza alcun dubbio.
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