Quando lo ascolti la prima volta c'è qualcosa che ti colpisce, e allora via, magari non aspetti un attimo e lo fai ripartire subito questo "
Invisible World" degli
Elegy of Madness.
E poi sì a stretto giro lo riascolti di nuovo.
Però ad un certo punto comincia ad esserci qualcosa che non ti torna.
Magari non sei abituato ad un ascolto con un alto livello di attenzione, anche perché magari mentre senti la musica nel frattempo fai altro, e la lasci andare in sottofondo. Quindi continui ad ascoltarlo perché tutto sommato è una raccolta molto gradevole, però se hai un certo feeling anche con altri gruppi del genere qualcosa continua a non tornare...
E poi - zac! - ce l'hai! In "Invisible World" è praticamente assente qualsiasi parte strumentale degna di nota. Viene fuori, quindi, una sorta di paura del vuoto nel momento in cui la voce, la parte cantata, viene a mancare. Quindi meglio non rischiare e limitare il più possibile i "vuoti".
E va bene, però praticamente diventano canzoni con una struttura pop.
Peccato, perché quest'ultimo lavoro degli Elegy of Madness aveva del potenziale, magari bastava crederci un po' di più per farlo rientrare in una sorta di "serie A" del gothic.
Peccato, perché ci sono molti pezzi interessanti tipo "
Egodemon", "
World", "
Believe", "
Kore" tanto per citarne alcuni, in cui sono stati trovate delle belle soluzioni di arrangiamenti e sonorità, tutto sempre condito con un bel ritmo abbastanza sostenuto. In "Kore" ci sono anche dei richiami a delle influenze celtiche che non disturbano affatto, mentre "
Fil Rouge" è costruita su una base elettronica su cui vengono messe delle chitarre belle cariche.
Poteva essere uno degli album migliori con cui aprire una finestra sul gothic in questo 2020, ci sono dei bei pezzi, coinvolgenti e scorrevoli. Ma tutto questo bel lavoro è stato sicuramente compromesso con la mancanza di parti strumentali, sopratutto orchestrate, che fanno del gothic il suo tratto più distintivo come genere.
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