So di non essere popolare, ma d'altronde chi se ne frega, mica sono un vip od un influencer che campa col plauso delle folle: a me
Burzum alias
Varg Vikernes è sempre rimasto piuttosto simpatico, a pelle; non trovo che dica cose sciocche o perlomeno scontate, con cui ovviamente si può concordare o più probabilmente inorridire.
Ero un habituè del suo canale Youtube
Thulean Perspective che frequentavo con cadenza più o meno quotidiana, e la chiusura che gli hanno imposto la trovo una censura degna della Corea del Nord, dato che in rete spopolano altri canali assai più discutibili che sono tuttora aperti e frequentatissimi, molto più del suo, canali che rimangono vivi e vegeti e sui quali l'occhio vigile di Youtube sembra improvvisamente essere cieco.
L'ho sempre trovato terribilmente coerente, ha pagato (e parecchio) per le proprie scelte, seppur discutibili, al contrario di tanti suo compagni di merende che continuano a mangiare su ciò che hanno fatto insieme a lui, deridendo l'altare di un black metal ormai spogliato, perlomeno significativamente parlando. Ha dovuto subire le ignominie e le menzogne di un film vile come "
Lords of Chaos", ritraendolo come un contadino rubicondo che sceso in città si è messo a fare le festicciole liceali, suonando di fronte ai compagni di scuola in palestra, ignorando del tutto il fatto che ciò che questo signore ha creato, plasmato, cambiato e modellato ad ogni sua uscita, ha avuto poi risonanza in tutto il mondo, segnando in maniera indelebile l'intero panorama black metal (e non solo), che mai prima delle soluzioni intraprese in "
Hvis lyset tar oss" antecedentemente ed in "
Filosofem" successivamente aveva mai pensato di potersi sviluppare ed influenzare in tal modo una generazione intera di musicisti ed ascoltatori.
Meriti che dai denigratori del conte ciecamente non gli vengono riconosciuti, accostandolo principalmente ad un incapace con la chitarra in mano, senza avere una minima dignità personale e di pensiero che possa travalicare una comprensibile idiosincrasia per l'uomo per concentrarsi unicamente sul valore artistico, che alla fine è l'unica cosa che dovrebbe interessarci, dato che siamo fruitori della sua musica e non i suoi confessori o giudici.
Tornando alla musica, la ragione del ritorno a questo "
Thulêan Mysteries" è semplicemente dovuta al fatto che i brani che qui troviamo raccolti per circa un'ora e mezza di durata già sono tutti conosciuti ai fruitori di Burzum, sia perchè utilizzati come intro o sottofondo ai numerosissimi video pubblicati nel corso di questi anni, sia perchè l'anno scorso un fan del suo canale li aveva raccolti in maniera completamente "unofficial" e postati sullo stesso Youtube col nome di "
Foreldra", peraltro poi stampato in maniera apocrifa da qualche misconosciuta etichetta, lucrando su musica altrui e senza alcun diritto acquisito su di essa.
Il disco ha avuto un immediato riscontro e da lì è nata in maniera ovvia la decisione da parte di Vikernes di rilasciare autonomamente per la propria
Byelobog Productions una parte di questi brani, con in aggiunta altri che i più attenti avevano già avuto modo di conoscere o intuire. Quindi nessun ripensamento postumo ma semplicemente la giusta pretesa di rivendicare i propri diritti su musica da lui composta e che Youtube ci aveva arbitrariamente negato.
Musica nata con lo scopo di accompagnare il gioco di ruolo da lui creato, ovvero
MYFAROG, e quindi musica che continua il discorso intrapreso con "
Sôl austan, Mâni vestan" del 2013 e proseguito con "
The Ways of Yore" dell'anno successivo: si passa da suoni etnici, fatti di percussioni evocative, fino ad un folk acustico, lievi accenni di chitarra, qualche eco di momenti ricollegabili a "
Tomhet", e semplici ma ipnotici accordi ripetuti ad oltranza, sia che si tratti di brani della durata di 1 minuto sia che si tratti di episodi di 15 minuti, come la bellissima "
The Password".
Le narrazioni, o meglio, le evocazioni di Vikernes provocano un brivido semplicemente per la sua voce, così stentorea e calda o fredda a seconda del momento, così gelida in "
A Forgotten Realm" e così paterna nella malinconica "
Heill Óðinn, Sire" ed in "
The Great Sleep", che poi altri non è che il titolo inglese della già conosciuta "
Den Store Søvn".
Un album assai migliore rispetto a "Sôl austan, Mâni vestan", equiparabile per qualità al predecessore "The Ways of Yore", che senza dubbio sarà vilipeso da gran parte della stampa di settore e dalla stragrande maggioranza di un pubblico sempre più censore e sempre meno amante della musica a 360°, più preoccupato di giudicare e condannare l'uomo che interessato all'arte in senso lato.
Personalmente non me ne curo, al pari del Conte, e con i brividi mi lascio trasportare dall'insegnamento e dall'ammonimento della sua magnetica voce, quasi lasciandomi andare alle lacrime dovute all'emozione durante "
The Land of Thulê":
"
We have not inherited Thule from our ancestors
We have borrowed it from our children..."