Se non lo avessi verificato con i miei occhi nel momento in cui mi apprestavo a stendere questa recensione non avrei creduto ad altrui parole: il precedente disco degli
Wolf, "
Devil Seed", era uscito nel 2014, a ben sei anni di distanza.
Ma come???
Impossibile, mi ricordo che andavo a correre per Villa Pamphili qui a Roma con "
Shark Attack" e "
Skeleton Woman" nelle orecchie, non poteva essere tutto questo tempo fa! E invece... abbraccio malinconicamente l'idea di invecchiare sempre di più e mi accingo amaramente a buttare giù due righe sull'ottava fatica della band svedese, per l'occasione rinnovata completamente nella sezione ritmica, con i neo-entrati
Pontus Egberg al basso e
Johan Koleberg alla batteria, entrambi reduci a metà anni '90 nei
Lion's Share, altra band che seppur per un solo album ha fatto parte della scuderia della
Century Media, che invece per i Wolf rappresenta oramai una sorta di casa dato che sono con loro sin dal quarto album del 2006, il meraviglioso "
The Black Flame".
Purtroppo, lo dico a malincuore, l'autentica magia della band capitata da
Nicklas Stalvind è terminata proprio con quel disco, autentico capolavoro fatto di un heavy metal oscuro e malevolo, grezzo e melodico, roccioso e maschio, un concentrato di
Mercyful Fate e
Judas Priest, così come i precedenti e meravigliosi "
Evil Star" e "
Black Wings", mentre l'omonimo debutto pur essendo assolutamente valido (e contraddistinto da una "indimenticabile" copertina) si dirigeva su territori prettamente maideniani.
Già dal successivo "
Ravenous" del 2009 qualcosa si era andato ad incrinare, sfociando in un incerto "
Legions of Bastards" due anni dopo, per poi risalire leggermente la china con il sopracitato "
Devil Seed" del 2014, carino ma distante anni luce dai risultati dei primi anni.
A dire la verità, i sei anni di assenza e la dipartita della metà della lineup mi aveva fatto un poco preoccupare riguardo la bontà del nuovo "
Feeding The Machine", preoccupazioni che erano deflagrate dopo l'ascolto del singolo "
Shoot to Kill", davvero troppo fiacco rispetto al passato, anche nel suono delle chitarre, incredibilmente esili e poco presenti nel missaggio finale.
Purtroppo alla luce dell'ascolto complessivo devo con tristezza constatare che il nuovo album è senza alcun dubbio il lavoro meno riuscito di tutta la loro discografia.
Non si tratta di una bocciatura o peggio di una stroncatura assoluta, non è un'indecenza, ma i momenti di esaltazione sono davvero pochi e si procede in una "normalità" pericolosa, priva perlopiù di spunti o di vivacità, tranne rari momenti disseminati qua e la' e peraltro anche molto distanti tra di loro.
La già nominata opener "
Shoot to Kill" si barcamena sulla sufficienza, e lo stesso succede per la successiva "
Guillotine", brani che non possiamo definire fallimentari ma che sono ben lungi dall'emozionare o dal fomentare, e non c'è bisogno di scomodare brani di 15 o 20 anni fa: basta mettere nel lettore il disco precedente, appunto di 6 anni fa, rimettere una "
Shark Attack" ed accorgersi delle incredibili differenze a livello di suoni, con una voce assai più presente e cattiva, delle chitarre rocciose a differenza delle moscerie qui presenti, e di una energia davvero folgorante, cosa che in "Feeding The Machine" manca pressochè del tutto. All'ascolto di "
Dead Man's Hand" e della seguente "
Midnight Hour" mi sono cadute per terra le braccia e la situazione è proseguita più o meno in questa maniera fino alla conclusiva "
A Thief Inside".
Cosa si salva? Gli assoli, quasi sempre taglienti e dall'ottimo gusto, e tanto savoir-faire ma dagli Wolf, autori del tantra "
Real Metal For True Bastards", desideriamo decisamente qualcosa di più: un 6 di stima anche per la carriera ma a mio avviso un disco non soddisfacente.