Da un pezzo non avevamo notizie dei rockers Roadsaw, ma ora sappiamo dove sono finiti: negli Antler. Infatti tre quarti della band di Boston è confluita in questo progetto, insieme ad altri elementi di formazioni della scena southern-stoner come i Quintaine Americana. In attesa di capire se l'avventura dei Roadsaw è da considerarsi conclusa, occupiamoci di questi Antler che per noi rappresentano una novità pressochè assoluta.
In realtà il gruppo si è formato ben quattro anni fa, ed ha già realizzato un primo full-lenght omonimo per la piccola Tortuga Records. Quindi il presente album pubblicato da Small Stone è il loro secondo capitolo, che conferma e consolida le caratteristiche evidenziate al debutto.
Se qualcuno immagina una specie di prosecuzione dei Roadsaw, è molto lontano dalla realtà. Gli Antler suonano rock, questo è certo, ma lo fanno con una impostazione profonda ed adulta che ha poco da spartire con il fragore ruvido di lavori come "Nationwide" o "Rawk'n'roll".
Qui troviamo uno stile pacato ed antico, che trova origine nelle radici musicali statunitensi come il blues o le intense ballate agresti, ed i modelli di riferimento si possono individuare tanto nel southern elegante della Allman Brothers Band quanto nel classico rock americano di Bob Seger, Eagles, Foghat, Black Crowes, per arrivare addirittura a Neil Young o perfino ai Pink Floyd, stando almeno al dolce e bellissimo finale "A river underground" con il suo sviluppo sognante e carezzevole di limpidezza cristallina.
L'immagine rude di questi barbuti musicisti farebbe pensare più ad un sound irruento e viscerale, a chitarre infuocate e voci sguaiate, che non al songwriting maturo che partorisce canzoni affascinanti come il rock d'annata "The gentle butcher", proprio attraversato come da titolo da una vena di gentilezza, accompagnata da morbide tastiere ed interventi fiatistici.
Un disco privo di urla e violenza, di nevrosi metropolitana, ma un lavoro affatto moscio. La sua forza è nell'atmosfera che profuma della vecchia america campagnola, dell'attaccamento alla propria terra ed alle sue tradizioni, un sentimento che può anche diventare malinconico e struggente come s'intuisce perfettamente con l'intensa "Behind the key", grande slow old-school impreziosito dal lungo assolo chitarristico di Ian Ross.
C'è una signorile bellezza nascosta dietro i toni pacati e sornioni, le ritmiche pigre e polverose, l'anima bluesy e la voce appassionata di Graig Riggs, grande protagonista della band capace di trasformare una normale ballata lenta come "Reminds me of a way" in un toccante momento di intenso romanticismo.
Certo non si può negare una certa sorpresa ascoltando gli Antler, abituati allo stile delle formazioni targate Small Stone sia esso l'heavy rock/blues dei Five Horse Johnson, il tiro poderoso dei Dixie Witch o il classico southern dei The Brought Low.
Forse sono questi ultimi ad avere maggiori punti di contatto con il sestetto del Massachusett. Entrambi i gruppi mirano al ritorno di un rock lineare ed essenziale dove possa nuovamente brillare l'anima rurale degli States, lo spirito fiero ed intramontabile delle distese agricole del Sud o delle impervie e solitarie montagne che attraversano la nazione, oggi messo in ombra dal fulgore delle metropoli ma ancora vivo in tanta gente.
E' con queste immagini nella mente che si riesce ad assaporare il vero significato di un hard-blues come "Deep in a hole", delle ballate dai toni aspri e retrogusto country quali "They know I'm the one" e "See me hang", oppure il tiro secco e duro del southern rock "My favorite enemy" dove lo slancio delle chitarre possiede l'eco dei migliori Lynyrd Skynyrd.
Gli Antler propongono un disco da esplorare con calma e da ascoltare in modo rilassato, liberandosi dalle tensioni quotidiane. Chi ricorda l'energia esplosiva dei Roadsaw si prepari a qualcosa di diverso, dove conta molto più la profondità delle emozioni che la semplice fisicità epidermica.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?