Dopo gli
Svart, recensiti poche settimane fa, continua l’esplorazione del
metal estremo tirolese con il
debut dei
Perchta.
I Nostri, infatti, provengono dall’Austria, e l’aspro
monicker trae spunto da un’antica divinità di matrice germanica (benché alcuni suggeriscano piuttosto un’origine celtica).
Sulla base di tali premesse, non appare compito arduo individuare le coordinate musicali del progetto; coordinate che, per chi scrive, si snodano lungo tre matrici:
-
atmosferica: il sound dei
Perchta non punta su aggressione e velocità esecutiva, bensì su suggestione e capacità evocativa;
-
folkloristica: la matrice fortemente identitaria dei Nostri non si limita al nome, ma si manifesta altresì nell’utilizzo dell’idioma nativo (addirittura in forma dialettale) e di strumenti tradizionali;
-
ritualistica: il
platter suona come un sabba notturno celebrato fra le conifere, le strutture dei brani sono spesso cantilenanti, con linee vocali e partiture ripetute come preghiere ad oscure entità silvane.
Proprio in quest’ultima caratteristica risiede, a mio avviso, il limite maggiore: “
Langs”, “
Summa”, “
Herest” e “
Winta” si risolvono in brevi invocazioni spoglie di elettricità, quasi interamente giocate sulle declamazioni della (pur brava) cantante femminile. Alla lunga, simile espediente conduce al tedio, oltre a spezzare non poco il ritmo.
A ciò aggiungete le immancabili
intro ed
outro, e capirete come ad “
Ufang” manchi, come si dice prosaicamente dalle mie parti, un po’ di “ciccia”.
Quando si pigia il bottone della metallitudine il tiro si aggiusta, ma sino ad un certo punto: ho trovato il
riffing dell’
opening track “
Erdn” sin troppo smargiasso per un’opera intima ed introspettiva come quella in esame; “
Gluat” possiede buoni spunti che, tuttavia, non vengono sviluppati a dovere; “
Wassa”, brano ambizioso ed articolato, alterna buoni momenti ad ingenuità.
Direi quindi che, per una volta, si è rivelata saggia la scelta del singolo apripista, con ogni probabilità miglior episodio del lotto.
Ecco a Voi:
Peccato: ai
Perchta non mancano gli ingredienti per una miscela sonora interessante, ma in “
Ufang” è mancato il calibro nel dosarli ed amalgamarli, tanto da rendere indigesto il risultato finale.
Nulla è perduto in ogni caso: riparliamone in occasione del prossimo album.
In bocca al lupo (in senso figurato).
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