“
Il sonno della ragione genera mostri”
Perché questa citazione del grande artista spagnolo
Francisco Goya tratto dal suo ciclo “
I Capricci” per iniziare questa recensione?
Perché se andate a vedere il disegno in questione capirete che l’anima oscura, cupa e piena di terrore emotivo è affine al nuovo lavoro dei nostrani
Forgotten Tomb.
Chi più di loro conosce l’abisso dove si può precipitare, il gorgo emotivo scuro che ti precipita sul fondo come nel
Maelstrom del grande
Poe?
Decimo ritorno dei nostri a tre anni di distanza dal precedente “
We Owe You Nothing” , e primo capitolo di una possibile trilogia secondo il mastermind del gruppo
Fedinando “Herr Morbid” Marchisio; un lavoro prodotto dallo stesso e mixato dal bassista
Algol usando strumenti vintage e analogici e difatti il suono è sporco, decisamente caldo con una vena bluesy oscura all’interno.
Certo qualcuno obbietterà che sei brani siano pochi, ma io preferisco la qualità alla quantità e il gruppo piacentino mi è sempre piaciuto durante il corso evolutivo della propria carriera.
Si parte con “
Active shooter”, brano dal riffing hard pesantissimo in questo up tempo compresso e dalla vena doom.
Grande lavoro di basso e batteria quadrati e le chitarre che in sottofondo lasciano dettagli melodici mentre la voce del singer e leader grida rabbia e dolore; brano che ha momenti rallentati con la chitarra che fa giri armonici armonizzati prima della ripresa graffiante e potente.
I seguenti brani sono due parti distinte della composizione “
Iris house”, nel quale i nostri mostrano, e ci fanno sentire dentro, citando un film di culto del thriller anni 70 tutti i colori del buio.
La prima sezione è affidata ad una chitarra dolente e blues con un giro di basso e suoni sporchi ma potenti.
Mid tempo che si divide tra cupezza e feeling rabbioso, col tono del singer che tra il parlato e l’esplosione rabbiosa colpisce emotivamente; sul finale ecco che il brano aumenta di grado melodico con armonizzazioni e un solo bellissimo.
La secondo invece è marcia lenta, ipercompressa con una batteria pesante e un pathos fosco e inesorabile; doom all’ennesima potenza con sullo sfondo un arpeggio dissonante.
Brano che sul finale accellera rabbiosamente con un gran lavoro di chitarra e melodia melanconica arpeggiata che chiude il tutto.
“
Distrust3”, attacca con grinta, hard mid tempo con un basso che pulsa e dolore percepibile dalle vocals urlate.
Grande brano dove la melodia viene imprigionata in un impasto duro e fosco; rallentamento cadenzato e blues per poi liberare le chitarre sul finale.
La titletrack parte con un arpeggio dark per poi ecco sfociare in un mid tempo quadrato.
L’anima gothic dark qui è presente, un richiamo a certe sonorità oscure con melodie melanconiche e grande lavoro ritmico che si scioglie nell’arpeggio iniziale.
L’ultimo brano “
RBMK” , è rabbia pura; attacco rabbioso, tellurico ma sempre con sonorità acide per certi versi.
Lo screaming è alto e intriso d’ira e rancore doloroso; anche qui sullo sfondo la melodia è presente anche se malata e di pur marca black metal.
In conclusione, è un album “facile”? Direi proprio di no, è complesso, ricco di sfumature sonore ed emotive; lavoro che cresce con gli ascolti in uno spettro nero e senza speranza di redenzione, ma che è un diamante fosco e brillante di luce oscura.
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