Iasi è una città della Romania orientale, quasi al confine con la Moldavia. Ed è qui che hanno la loro base i
Belzeduh, credo la prima formazione rumena che mi sia capitato di recensire in tanti anni. Come dicono i saggi "c'è una prima volta per tutto", ed è una prima volta non disprezzabile. Il quartetto è attivo da un paio d'anni, ma è formato da musicisti che vantano una certa esperienza nel circuito locale. Al principio si trattava di una band integralmente strumentale, poi hanno svoltato in direzione diversa che comprende pienamente anche l'aspetto vocale. Il loro stile è abbastanza variegato, comprende una forte base di classico stoner-rock ma anche vivaci sfumature metal e psichedeliche. A tratti sembra di percepire il desiderio di inserire nel sound un pò di tutto, una panoramica completa delle svariate influenze della band. Ciò allenta la coesione del lavoro, lo rende maggiormente ondivago ma incrementa in qualche modo la varietà della proposta. Un disco dove ci sono momenti e passaggi molto diversi tra loro, ma che tutto sommato regge bene all'ascolto e non annoia.
Per capirci meglio, si passa da uno stoner-southern-blues come "
Unworried mind", con i suoi rallentamenti e la voce da crooner, a classici hard rock stonerizzati alla maniera statunitense come "
White plague","
Highway ticket" e "
Northern isolation", nella scia dell'underground di Dirty Rig, Red Stone Chapel o Black Pussy. Tiro unto, colloso, torbido, di buona energia e calore.
Ci sono anche brani decisamente più piatti, vedi il cupo stoner-doom alla Down "
Son of sorrow" o la tetra e sludgy "
Lockdown" (titolo pienamente in linea coi tempi) cantata con rugginosa voce death. Questo a testimonianza di una identità ancora da definire in modo più compiuto.
In compenso troviamo episodi davvero interessanti, ad esempio la dilatata "
Psilochilloba". Nove minuti di psycho-rock strumentale giocato su un chitarrismo debordante e fluido, in un'atmosfera grondante groove narcotico. Canzone con molti cambi di ritmo e situazione, vibrazioni quasi progressive e retrogusto settantiano. I rumeni mostrano di saperci fare.
Oppure lo sludge-doom monolitico "
Manic holiday" o quello più metal e ritmato "
Void smoking monk" (strumentale alla Karma to Burn), che evidenziano il discreto spessore interpretativo di questa formazione.
C'è ancora da lavorare, ma i
Belzeduh realizzano un album discreto per quantità e qualità. Col tempo potrebbero ritagliarsi il loro posto nel panorama stoner/alternative contemporaneo. Ritengo giusto dar loro fiducia.
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