Piccoli
Moonsorrow crescono, soprattutto abbastanza bene; mi era sconosciuto questo terzetto tedesco/islandese.
Un trio dedito al pagan black metal dagli spunti folk ed epici; una formazione che è orgogliosa della propria storia e retaggio.
Un orgoglio che si dipana in cinque album, l’ultimo dei quali è il secondo capitolo della saga iniziata nel 2019.
I due album narrano le gesta del re norvegese e santo
Óláfr Haraldsson (995-1030); la band mi ha stupito con un racconto storico documentato diviso tra parti narrate in lingua madre e scossoni di puro metal estremo.
L’opener “
Ek býð þik velkominn”, apre questo secondo capitolo con effetti e rumori naturali, un tappeto di chitarre arpeggiate e archi ad alto tasso emozionale.
La voce narrante, profonda e pacata del singer
Marsél ci porta per mano, la componente folk musicale è un bel sottofondo per questo nuovo atto.
Con “
Bróðir, var þat þín hǫnd”, tutto è pervaso da effetti ventosi con un violino in sottofondo.
La voce del singer quasi un sussurro profondo sembra condurci lontano, la composizione folk/ambient minimale serve apposta come cornice alla narrazione.
Ma ecco “
Sem járnklær nætr dragask nærri” a scompaginare il tutto; brano arcigno, selvaggio e iroso.
Qui il black metal è sorretto da sfuriate in blast beats, con riffing e uno screaming alto e acidissimo; un totale ribaltamento emotivo rispetto alle sequenze precedenti, il pathos però rimane immutato soprattutto nelle parti cadenzate dal sapore epico con cori puliti.
“‘
Gamalt ríki faðmar þá grænu ok svǫrtu hringi lífs ok aldrslita”, prosegue la sfuriata estrema.
La sezione ritmica e le chitarre sono un muro maligno e senza l’ombra melodica; le parti cadenzate e possenti fanno capolino, la nota drammatica è riservata al chorus e all’intermezzo cadenzato con interventi acustici.
Il brano “
Heiftum skal mána kveðja”, si divide tra sezioni elettriche e metal, dalla connotazione estrema, ad aperture pulite e folk che proseguono la narrazione delle vicende legate alla saga.
Questa dicotomia è avvincente quando soprattutto prende il sopravvento la parte più veracemente vichinga, dura e bathoriana con cori imperiosi.
Prosegue il tutto con “
Er hin gullna stjarna skýjar slóðar rennr rauð”; dopo una sfuriata il tutto diviene più cadenzato, drammatico e fiero; il pathos è palpabile con lo screaming lacerante con cori puliti profondi e tastiere a fare da tappeto sonoro.
Il solo è melodico e malinconico come da tradizione del genere; brano che non rinuncia alla componente estrema, ma la sa bilanciare in questo contesto.
L’ultimo brano “
Ek sá halr at Hóars veðri hǫsvan serk Hrísgrísnis bar”, potrebbe essere definito una suite pagan metal.
Partenza con un riff serrato e rumori temporaleschi che vengono seguiti da percussioni e cori ricchi di emotività.
Questo porta ad una sfuriata black metal con cambi di tempo epici e fieri; lo screaming è diviso tra voce più roca a parti più tirate con interventi di voce pulita narrante.
Il solo è stupendo, le parti folk chiudono questo secondo capitolo con la voce narrante che fa da asse portante all’opera; il tasso melanconico è presente sia nella parte elettrica che in quella acustica.
Album bello, forse manca un pochino di melodia che coinvolga l’ascoltatore soprattutto nelle parti narrate; si sente che il trio è convinto e unito in questo racconto drammatico e intenso; da avere in coppia con la prima parte e conservare.
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