Mi è capitato spesso, in sette anni di militanza nella gloriosa redazione di
Metal.it, di recensire gruppi dal
sound fortemente ibrido. Certo che oggi, coi
Dead Bronco, ci spingiamo verso lidi sonori che definire contaminati sarebbe eufemistico.
Provate a preparare un
cocktail con tre parti di
country, due di
rockabilly, una di
folk, una di
punk, mezza di
gothic, mezza di
black metal. Ora shakerate…
No, no, dove state scappando? Non volete assaggiare il bizzarro intruglio?
Posso comprendere le titubanze; sappiate, comunque sia, che la miscela presente in “
The Annunciation” è risultata, a mio gusto, più armonica e piacevole di quanto non mi sarei atteso.
Non parliamo certamente di un prodotto per
defenders integerrimi; nondimeno, a respingere al mittente eventuali accuse di rivolgersi in via esclusiva ad un pubblico di
hipster -sempre che esistano ancora, scusate se non sono aggiornato a riguardo-, intervengono qua e là partiture contraddistinte da discreta veemenza.
Più in generale, nei solchi del dischetto covano braci di rabbia ed oscurità che avvicinano i
Dead Bronco al nostro mondo.
Certo: alcuni brani non sfigurerebbero in una pellicola di
Tarantino o in un moderno
spaghetti western (penso a “
That Devil” e “
Do Us Part”, sorta di incrocio tra
Johnny Cash,
Nick Cave ed i
Me and That Man di
Nergal); in altri (“
Been Saved”) si osserva un approccio snello e nervoso al
songwriting, probabilmente in virtù delle influenze
punk di cui sopra.
Grazie a “
Prayers” e “
Stop Watching Me” ci accorgiamo poi che è il buon vecchio
Glenn Danzig il principale punto di riferimento dei
Dead Bronco, sia a livello compositivo che canoro.
Da ultimo, accatastate perlopiù nella porzione conclusiva del
platter, intervengono le derive estreme: la
title track si estrinseca in una sfuriata tanto feroce quanto minimale, mentre in “
Suicide is all I think of” emerge addirittura un retrogusto atmosferico proprio di certo
DSBM… peccato che, almeno in questo caso, la concisione si riveli un limite: qualche minuto in più per far respirare la composizione sarebbe servito.
“
The Annunciation”, tirando infine le somme, rivelerà ai più
open minded un sapore godibile (ma non indimenticabile) e rinfrescante, benché nient’affatto “facile” o zuccheroso.
Se invece non vi scostereste dai classici
gin lemon e
cuba libre per nessun motivo al mondo, passate serenamente oltre.
Io una sorsata me la concederei…
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