Definiti spesso come i blue collar dell’heavy metal americano, gli
Shok Paris sono rimasti eternamente nelle retrovie, vuoi perché emergere partendo da Cleveland (Ohio) non è facile, vuoi perché hanno scelto uno dei nomi peggiori di sempre per una metal band ma, badate bene, il loro valore non è secondo a nessuno.
Si sono anche dati la zappa sui piedi adottando una copertina pessima per il loro debutto del 1984, un album melodico e muscoloso, con un cantato non del tutto sviluppato e parecchio simile a quello di
Ronnie; un piccolo gioiello di metal americano ancora molto influenzato dalla NWOBHM. Così come lo sarà il successivo, lo strepitoso
Steel And Starlight, capace di fondere al meglio il timbro maturo e riconoscibile di
Vic Hix a grandi chitarre, ottimi riff, belle melodie, per andare a concretizzarsi in una delle più splendenti gemme nascoste degli anni ’80. Anche il seguente
Concrete Killers è un bel lavoro, un pochino più rotondo e “patinato” in certi ritornelli, soprattutto rispetto al glorioso lavoro precedente, ma assolutamente efficace e viscerale nel suo metal americano imparentato con certi Crimson Glory e con sempre quel filo di hard rock alla Dio.
La fortuna, purtroppo, non ha mai arriso agli
Shok Paris e, nonostante tutto, dopo 31 anni hanno deciso di tornare a farsi sentire con il nuovo
Full Metal Jacket, edito dalla piccola cult label greca
No Remorse Records.
Perché? Direte voi. Chi glielo fa fare di tornare dopo una vita se nemmeno sono stati cagati nel fiore degli anni? Si chiama passione per la musica, qualcosa che tanti gruppi si sono dimenticati, capaci solamente di inseguire views, like o preparare gadget da vendere con il proprio logo.
Al bando draghi, sangue e pose da macho,
Full Metal Jacket vince già dalla
copertina. E la musica? Beh, per forza di cose trent’anni lasciano il segno e la voce di
Vic è un pochettino calata, meno acuta e di sovente sorretta da più voci o gang vocals ma, badate bene, è sempre istrionica e subito riconoscibile. I pezzi sono ben strutturati, volutamente abbastanza semplici che scorrono su tempi per lo più medi o andanti, ricchi di ritornelli memorizzabili e pregni di naturale spirito ottantino. E se da un lato
Hex col suo timbro sempre a metà strada tra
DuBrow,
Dio e
Minoru Niiara caratterizza le strofe e rende i chorus ammiccanti, la chitarra di
Ken Erb (unico altro membro rimasto della formazione originale) aggiunge sapore rock a brani come "
Metal on Metal", oppure infarcisce di melodie maideniane canzoni come "
Fall from Grace" oppure "
Up the Hammers" (con echi di Somewhere in Time) o ancora butta lunghi assoli in "
Brothers in Arms" (che ricorda parecchio
Doctor Doctor). C’è anche tanta potenza in questo disco e viene sprigionata spesso, come su "
Black Boots" (mi ha ricordato il riff della seconda parte di
Visions degli Strato) oppure "
Hell Day", vero pezzo principe dell’album per trascinamento, costruzione, efficacia, con doppia cassa sotto, mediamente veloce, strofe incisive e ritornello ficcante. La produzione è abbastanza asciutta e virata sulle medie frequenze, non c'è nulla di artefatto o iperprodotto. Ed è perfetto così. Ho ascoltato questo album decine di volte negli ultimi due mesi e, tornandoci sopra, provo sempre un gran piacere proprio perché è fatto di pochi semplici elementi ma tangibili, veri, sanguigni.
Basta, basta, non vi annoio oltre nella descrizione, vi basti sapere che
Full Metal Jacket è un gran bel disco, vario, energico e ricco di quello spirito rock ’n’ roll che sembra essersi estinto.