Ashtar è un duo svizzero (Basilea) formato da
Nadine e
Marko Lehtinen (la prima ex-Shever, il secondo ex-Phased), emerso all'attenzione dei cultori dell'estremo grazie al debutto "Ilmasaari" pubblicato nel 2015. Disco che proponeva un black/drone/doom marcio ed ossessionante, che ottenne anche l'approvazione del metal-guru elvetico Tom Gabriel Fisher (il Tom G. Warrior di Celtic Frost e Triptykon, ovviamente..).
A distanza di un lustro la band si ripropone con il secondo capitolo, "
Kaikuja" che in finnico significa "echi". Cinque brani che confermano l'orientamento stilistico, ma introducono anche delle novità. Rimane la struttura di base doom molto virata verso il black metal scandinavo più sperimentale, c'è sicuramente l'attitudine drone (alcuni passaggi farebbero invidia ai Sunn 0))), ma anche una nuova tendenza a momenti maggiormente atmosferici ed esplorativi coniugati con sfuriate ultra-heavy ferocemente brutali. Una mistura urticante, sinistra, oscura, trasversale, adatta a coloro che cercano emozioni forti e stimoli al di fuori dei canoni mainstream.
La partenza di "
Aeolus" è puro black metal schizzato, con la voce allucinante di
Nadine subito in evidenza, poi intervengono pause doom plumbee e sulfuree che si trasformano in una cadenza reiterata dal retrogusto post-metal. Brano ben congegnato ed interessante.
Ancora meglio la successiva "
Between furious clouds", tredici minuti di spunti sonori: dal mesto e lugubre violino iniziale al potente e melmoso sludge/drone della parte centrale, fino all'incedere monolitico e malato che ci accompagna in maniera stordente fino alla fine del brano. Drone/doom di qualità ed ispirazione, sicuramente la traccia migliore del disco.
"
Bloodstones" è tanto oscura quanto serrata, lenta nella ritmica ma con improvvisi colpi crust-metal, la voce al vetriolo ed una lunga digressione post-black atmosferica. Un pò troppo diluita, ma comunque efficace. "
The closing" è una traccia funeral-doom dai connotati cimiteriali ed ultra-dark, riffone tombale e passo lumachesco. In coda una breve ripresa sabbathiana. Per me la canzone più anonima del disco, molto di maniera.
Meglio la conclusiva "
(She is) awakening", nuovamente in equilibrio tra doom e pulsioni post-metal angoscianti e strazianti. Trasmette un fascino sinistro ed orrorifico, senza rinunciare ad una solida potenza di fondo. Brano tetro e decadente, con qualche sperimentazione sonora ed un feeling raggelante e maniacale.
La coppia svizzera fornisce una buona prova, amalgamando con una certa sagacia elementi differenti nel proprio sound. Un progresso stilistico rispetto all'esordio, con incremento di personalità ed ambizione nella sperimentazione. Rimane un lavoro adatto soltanto ai frequentatori degli orizzonti più estremi, ma di livello discreto.
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