Se esiste, tra le innumerevoli “sottoculture” del
rock, la cosiddetta declinazione
pomp, è merito anche degli Styx, una delle principali e “primordiali” (assieme a Kansas e Angel, senza dimenticare Starcastle, New England, …) forze trainanti statunitensi del fenomeno, capace di concentrare nelle suo magniloquente
modus operandi la vigoria dell’
hard e le opulenti raffinatezze del
prog, private dei loro parossistici tecnicismi.
Dennis DeYoung di quella seminale formazione ne è stato il fondatore, assieme ai gemelli
Chuck e
John Panozzo, e questo nuovo lavoro solista rappresenta un po’ la celebrazione della sua lunga e felice parabola artistica, iniziata negli anni sessanta proprio al “
26 East” di Roseland, nel sud di Chicago, quando la gloriosa
band prese forma sotto la denominazione The Tradewinds.
Da lì, proprio come le locomotive immortalate nella
front-cover dell’albo, i tre, non senza iniziali difficoltà, sono partiti con consapevole determinazione alla conquista del mondo, acquisita con l’immortale “
The grand illusion”, per poi consegnare agli esteti del genere numerosi altri capolavori, alternati a qualche piccola, fatale, battuta d’arresto.
Con l’illuminato supporto di un altro
Grande Maestro del settore come
Jim Peterik,
DeYoung, già da un po’ lontano dalla “navicella madre”, concentra nei quarantatré minuti dell’opera un edificante saggio del suo modo di concepire la musica, fatto di
grandeur compositiva, di squisita eleganza interpretativa e di formidabile
pathos, dove a farla da padrona è la sua magnifica voce, in eccellenti condizioni di forma e splendidamente incastonata in arrangiamenti evocativi e ammalianti.
L’incontenibile passione per i Beatles, esplicitata in maniera palese in “
To the good old days” (eseguita in duetto con
Julian Lennon in veste di ospite di lusso), si combina ad arte con quella per gli Yes, i Queen e i Genesis, alternando energia e melodramma, proprio come accade nel maestoso atto d’apertura “
East of midnight”, figlia “legittima” delle tante splendide partiture firmate Styx.
Si prosegue con la grintosa e scanzonata invettiva intitolata “
With all due respect”, in contrasto con la fosca, solenne e “tecnologica” “
A kingdom ablaze” (qualcosa tra i Pink Floyd e gli stessi Styx di “
Kilroy was here” …) e con “
You my love”, una ballata orchestrale intrisa di un nostalgico
mood anni cinquanta.
I toni epici, inseriti nel crescendo trionfale del brano, rendono “
Run for the roses” uno degli
highlights del programma, categoria in cui s’inseriscono di prepotenza anche “
Damn that dream”, un battente numero di
AOR dai suggestivi contorni “cinematografici” e la melodia appassionata di “
Unbroken”, anch’essa pervasa dalla migliore tradizione “adulta”
yankee.
Con le atmosfere teatrali (tra
musical e
opera-rock, con rimandi a The Who e
Jim Steinman) di “
The promise of this land” e il breve sigillo “
A.D. 2020” (che riprende alcuni temi da “
Paradise theater”) si conclude un albo che pulsa di eccezionale talento, classe inaudita e tantissimo fervore espressivo, quello che ci garantirà un “
Volume 2” da includere fin da ora fra le uscite più attese della florida programmazione discografica targata
Frontiers Music.