Il terzo lavoro sulla lunga distanza degli
Ancillotti sarebbe perfetto per avviare una serie di riflessioni sui motivi che hanno portato l’
heavy metal “classico” a essere una delle correnti musicali più longeve del novecento, con tanto d’implicazioni sociologiche e culturali, ma forse tutto questo finirebbe per adombrare il valore intrinseco di “
Hell on Earth”.
L’unica considerazione di carattere generale che mi sento di ribadire al lettore è che nonostante talune sonorità tradizionali siano tornate in auge già da un po’ (la cosiddetta
New Wave Of Traditional Metal, o “roba” simile …) la differenza, per non apparire calligrafici e oltremodo prevedibili, la fa sempre la capacità di mescolare il
feeling di ieri con la vigoria di oggi, un’impresa tutt’altro che agevole, riuscita appieno solo a pochi eletti.
Ebbene, la famiglia “allargata” riunita sotto la denominazione
Ancillotti può essere tranquillamente annoverata tra le fila di questa esclusiva categoria, in virtù di un’innata propensione al genere, capace di trasformarsi in una forma di straripante vitalità espressiva.
E’ proprio questa energia, prorompente dal primo all’ultimo solco dell’albo, a rendere la celebrazione di Saxon, Accept, Judas Priest e Ozzy un’operazione credibile e straordinariamente appagante, priva di quella patina di manierismo,
ahimè, troppo spesso rilevabile nei tanti propugnatori della tradizione.
La perizia nel creare atmosfere costantemente trascinanti e intense è una delle principali peculiarità di una formazione che può contare sulla voce di un autentico “stregone” della fonazione modulata di nome “
Bud” e sulle chitarre serrate e scolpenti di "
Ciano"
Toscani, il tutto mentre il resto della dinastia
Ancillotti si preoccupa di sostentare in maniera instancabile un
sound “diretto”, che ammicca e attacca, tumultuoso come mai nei precedenti discografici dei nostri.
“
Hell on Earth” non consente pause, azzanna i sensi a partire dalla poderosa “
Fighting man” e non li molla fino alla spietata "
Till the end”, un saggio di genuina e coinvolgente irruenza metallica.
Tra prologo ed epilogo, si collocano il
riff attanagliante e la trama
anthemica di “
Revolution”, il martellamento Motorhead-
iano di “
Firewind”, lo sviluppo ombroso e incombente di “
We are coming” (e qui
Bud, a tratti, sembra davvero
Halford) e il fraseggio pulsante di “
Blessed by fire”, in assoluto forse il momento (leggermente) meno efficace del programma.
Le scansioni sferraglianti ed evocative di “
Broken arrow”, la veemenza melodica di “
Another world” e il fragoroso clima
horror-oso di “
Frankenstein” arricchiscono un disco di puro
heavy metal, da cui traspare anche un messaggio “ambientalista” piuttosto lontano dalla facile retorica.
“
Hell on Earth” degli
Ancillotti è la scelta ideale per chi continua a credere che certi suoni, e di conseguenza, un certo tipo di emozioni, a differenza dei
trend e dei sottogeneri più fantasiosi, passino indenni attraverso lo scorrere del tempo, conservando intatte tutte le loro immarcescibili prerogative.