Gli
Onslaught, storici alfieri del thrash britannico, pubblicano per
AFM il settimo album della loro lunga ed altalenante carriera. Lunga perchè la band di Bristol si è formata nel 1983 su iniziativa del chitarrista
Nige Rockett (unico componente delle origini ancora presente oggi) e del bassista
Paul Hill, cominciando subito con il botto di due album memorabili: il grezzo, abrasivo e venomiano "Power from hell" (che all'epoca mi fulminò di brutto...era il 1985) ed il più rifinito e pienamente thrash metal "The force" (1986) che molti, compreso il sottoscritto, inseriscono nella top-ten di tutti i tempi riguardo questo filone stilistico. Altalenante perchè una costante volatilità della line-up ed alcune scelte stilistiche più imposte dall'esterno che realmente convinte a livello personale (vedi la sostituzione del cantante Sy Keeler con l'ex Grim Reaper Steve Grimmett, preteso nel 1989 dalla London Records per la realizzazione del terzo "In search of sanity" e rivelatosi quantomeno discutibile), hanno portato allo scioglimento un paio di anni più tardi. Il ritorno sulle scene è avvenuto nel 2004, con la formazione storica, proseguendo ininterrottamente fino ad oggi tra nuovi cambi di schieramento ed alcuni lavori di ottimo livello, come "Sounds of violence" (2011) e "VI" (2013).
Il presente "
Generation antichrist" porta con sè l'ennesimo cambio al microfono: non c'è più l'iconico Sy Keeler sostituito da
David Garnett, impegnato insieme al drummer
James Perry con un'altra thrash band di Bristol, i Bull-Riff Stampede.
Il lavoro è forse il più violento ed aggressivo della discografia dei britannici, dove l'ombra degli Slayer aleggia incontrastata su picconate ritmiche speed'n'thrash come "
Strike fast strike hard", "
Religiousuicide" o la title-track. Frenesia iconoclasta e tempi serrati come non ci fosse un domani, ma strutturati in base alla decennale esperienza dello stile
Onslaught, che non ha mai disdegnato di inglobare vibrazioni punk e Motorheadiane, vedi la bombastica ed annichilente "
A perfect day to die". Atmosfera maggiormente epica ed apocalittica nella complessa e turbinosa "
Empires fall", che negli aspetti più accessibili vanta un forte retrogusto oscuro di marca Testament, mentre "
Addicted to the smell of death" è un altro pogo-thrash di intensità feroce, da spezzarsi il collo nell'headbanging.
Ci sono un paio di tracce più di routine, ma parliamo comunque di una routine a livelli molto elevati per qualità tecnica, ispirazione, freschezza e soprattutto attitudine cementata nel corso dei decenni. La produzione moderna esalta l'impatto monolitico di certi passaggi, sottolineando l'indole innata da killer-machine del quintetto inglese. Pura adrenalina e potenza heavy da manuale, questo rimane indiscutibilmente uno dei migliori gruppi in ambito thrash metal, da citare tra i nomi storici e fondamentali del genere.
In chiusura, un commento sulla prestazione di
Garnett. Tenuto conto che ha dovuto cantare brani pensati per Keeler, visto che è stato inserito a lavori già molto avanzati, se la cava in maniera più che dignitosa. Voce cattiva e sferzante, vagamente speed-punk, non mostra particolari cedimenti nell'arco dei quaranta minuti. Non è mai semplice subentrare a musicisti che hanno legato il proprio nome ai momenti d'oro di una band, ma nel prossimo lavoro il buon
David potrà esprimere la sua personalità in maniera ancora più completa ed esaustiva.
Onslaught, dopo una vita ancora sulla cresta dell'onda. Niente da aggiungere.
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