Incredibile. Clamoroso. Fantastico. Ecco tre aggettivi che raramente vengono usati per definire un disco made in Italy. Ok, ok, c'è la presenza, spesso ingombrante, di un certo Jacob Bredhal ( Hatesphere e Barcode ) dietro al microfono, ma va sottolineato come la musica, testi e linee vocali vengono scritte da Stefano Longhi, con la partecipazione dei suoi fidi partners in crime, ossia Roberto Gelli al basso e Massimo Gajer alla sei corde. D'altronde lo stesso Bredhal non si definisce un buon cantante, quindi...Ma torniamo alla recensione vera e propria; dopo l'esplosivo debutto, quel " Inferno Museum " che ha sorpreso mezza Europa, ecco che la band latino-scandinava, partorisce un disco che rasenta la perfezione. I quattro tornano sulle scene con un bastimento di songs, che sono una più bella dell'altra. Il loro letale mix di death'n'roll e stoner, già convincente col precedente lavoro, viene ulteriormente migliorato, levigato, reso lucido e brillante. Spesso vi accadrà di guardare stupiti i faccioni dei quattro musicisti, quasi increduli nell'accostare i loro nomi al fianco di stoner gods come Kyuss, Hermano e High On Fire, senza scordare Motorhead o gli Entombed stradaioli. Già dall'opener " Are You Ready? ( ready for your massacre ) ", l'aria attorno a noi si fa pesante; le narici si riempiono velocemente di polvere e la fronte prende a sudare copiosamente, smettendo praticamente solo con l'outro strumentale " Amen ". Il chorus della prima traccia è qualcosa di indelebile, vi si conficcherà nella testa e, ciaociaociao neuroni...La successiva " Superhero Motherfucker Superman ", che rappresenta anche il primo singolo estratto, parte a spron battuto, dando capocciate a destra e manca, tra pre chorus singhiozzanti, chorus dirompenti ed un break lisergico a metà canzone. Break che si accartoccia su se stesso, prima di schizzare via tra gli ululati delle chitarre. Devastante, non c'è che dire. " Hey J " è un caterpillar dall'incedere deciso, anche se la velocità rimane sotto la soglia consentita. Grande lavoro di Gelli, il quale regge di fatto tutta la canzone, con il suo basso pulsante. I toni tornano a farsi vivaci con " I'm Not The One ", un grandioso manifesto stoner, con un Bredhal in gran spolvero ( per quello che le sue corde gli permettono, eheheh ). L'atmosfera generale del brano in questione è simile a quella che permea i gloriosi dischi dei Kyuss, e scusate s'è poco. L'apice qualitativo del disco si ha con la doppietta " Demon Town " e " Soul Man ". Due brani dal tiro micidiale, sui quali gli Allhelluja celebrano al meglio la loro attitudine, grezza, dura, sincera e senza cazzi per la testa, se non quello di suonare con le palle fumanti. Un'attitudine che a naso odora di cuore e generosità, fottendosene alla grandissima di tutte quelle bands finte, costruite a tavolino. Fanculo..." Demon Town " ha il pedale dell'acceleratore perennemente spremuto in fondo, dando filo da torcere al nostro headbanging ( non oso immaginare cosa potrebbe venir fuori in sede live...mammamia!!!! ). " Soul Man " è ruffiana, con il suo retrogusto settantiano, avvicinando Lemmy a Joe Cocker ( parafrasato con la celebre " You Can Leave Your Hat On " ), due modi diversi ma ugualmente sinceri di intendere la musica. I due minuti scarsi di " Big Money, Sweet Money " non concedono pietà per l'ascoltatore di turno, seppur si tratti del brano meno articolato del disco, forgiato su un " pestiamo a manetta " che non offre variazioni di sorta. Altro brano, ed altro splendido chorus: questa è " The Devil, Me, Myself And I ", traccia multiforme, poliedrica, che fa della varietà il proprio vessillo. L'energia sembra non abbandonare i quattro, visto che anche " Hell On Earth " è una speed track micidiale, mentre " The King Of Pain " rappresenta il congedo, tumultuoso, di Bredhal a questo " Pain Is The Game ", visto che a chiudere il disco troviamo " Amen ", outro strumentale di una manciata di secondi. Ok, l'ascolto è terminato ed è stato stupendo; gli Allhelluja hanno dimostrato parecchie cose con questo comeback. In primis di essere una splendida realtà, e non solo un side project dalla scadenza immediata. Altra chicca è lo strepitoso stato di grazia di Longhi e soci, autori di una prova a livello di songwriting che ha del clamoroso. Canzoni efficaci, senza troppi giri a vuoto ( anzi, senza nessun giro a vuoto ), sporche e dirette come il vero rock ci ha insegnato. Chiudendo con una produzione ( a quattro mani, tra Jacob Bredhal e Tue Madsen ) ed una veste grafica degne delle migliori band in circolazione. In tutta Europa, ma anche in America, si parla di " the next big thing "...forse esagerato ma cazzo ce ne frega? Personalmente sono fiero che una band italiana susciti tutta queste serie di rumors, ancor più quando la qualità è così alta. Mai il dolore è stato così piacevole. Ottimi.
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