Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:39 min.
Etichetta:Scarlet
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. ARE YOU READY? ( READY FOR YOUR MASSACRE )
  2. SUPERHERO MOTHERFUCKER SUPERMAN
  3. HEY J
  4. I'M NOT THE ONE
  5. DEMON TOWN
  6. SOUL MAN
  7. BIG MONEY, SWEET MONEY
  8. THE DEVIL, ME, MYSELF AND I
  9. HELL ON EARTH
  10. THE KING OF PAIN
  11. PAIN
  12. AMEN

Line up

  • Stefano Longhi: drums
  • Massimo Gajer: guitars
  • Roberto Gelli: bass
  • Jacob Bredhal: vocals

Voto medio utenti

Incredibile. Clamoroso. Fantastico. Ecco tre aggettivi che raramente vengono usati per definire un disco made in Italy. Ok, ok, c'è la presenza, spesso ingombrante, di un certo Jacob Bredhal ( Hatesphere e Barcode ) dietro al microfono, ma va sottolineato come la musica, testi e linee vocali vengono scritte da Stefano Longhi, con la partecipazione dei suoi fidi partners in crime, ossia Roberto Gelli al basso e Massimo Gajer alla sei corde. D'altronde lo stesso Bredhal non si definisce un buon cantante, quindi...Ma torniamo alla recensione vera e propria; dopo l'esplosivo debutto, quel " Inferno Museum " che ha sorpreso mezza Europa, ecco che la band latino-scandinava, partorisce un disco che rasenta la perfezione. I quattro tornano sulle scene con un bastimento di songs, che sono una più bella dell'altra. Il loro letale mix di death'n'roll e stoner, già convincente col precedente lavoro, viene ulteriormente migliorato, levigato, reso lucido e brillante. Spesso vi accadrà di guardare stupiti i faccioni dei quattro musicisti, quasi increduli nell'accostare i loro nomi al fianco di stoner gods come Kyuss, Hermano e High On Fire, senza scordare Motorhead o gli Entombed stradaioli. Già dall'opener " Are You Ready? ( ready for your massacre ) ", l'aria attorno a noi si fa pesante; le narici si riempiono velocemente di polvere e la fronte prende a sudare copiosamente, smettendo praticamente solo con l'outro strumentale " Amen ". Il chorus della prima traccia è qualcosa di indelebile, vi si conficcherà nella testa e, ciaociaociao neuroni...La successiva " Superhero Motherfucker Superman ", che rappresenta anche il primo singolo estratto, parte a spron battuto, dando capocciate a destra e manca, tra pre chorus singhiozzanti, chorus dirompenti ed un break lisergico a metà canzone. Break che si accartoccia su se stesso, prima di schizzare via tra gli ululati delle chitarre. Devastante, non c'è che dire. " Hey J " è un caterpillar dall'incedere deciso, anche se la velocità rimane sotto la soglia consentita. Grande lavoro di Gelli, il quale regge di fatto tutta la canzone, con il suo basso pulsante. I toni tornano a farsi vivaci con " I'm Not The One ", un grandioso manifesto stoner, con un Bredhal in gran spolvero ( per quello che le sue corde gli permettono, eheheh ). L'atmosfera generale del brano in questione è simile a quella che permea i gloriosi dischi dei Kyuss, e scusate s'è poco. L'apice qualitativo del disco si ha con la doppietta " Demon Town " e " Soul Man ". Due brani dal tiro micidiale, sui quali gli Allhelluja celebrano al meglio la loro attitudine, grezza, dura, sincera e senza cazzi per la testa, se non quello di suonare con le palle fumanti. Un'attitudine che a naso odora di cuore e generosità, fottendosene alla grandissima di tutte quelle bands finte, costruite a tavolino. Fanculo..." Demon Town " ha il pedale dell'acceleratore perennemente spremuto in fondo, dando filo da torcere al nostro headbanging ( non oso immaginare cosa potrebbe venir fuori in sede live...mammamia!!!! ). " Soul Man " è ruffiana, con il suo retrogusto settantiano, avvicinando Lemmy a Joe Cocker ( parafrasato con la celebre " You Can Leave Your Hat On " ), due modi diversi ma ugualmente sinceri di intendere la musica. I due minuti scarsi di " Big Money, Sweet Money " non concedono pietà per l'ascoltatore di turno, seppur si tratti del brano meno articolato del disco, forgiato su un " pestiamo a manetta " che non offre variazioni di sorta. Altro brano, ed altro splendido chorus: questa è " The Devil, Me, Myself And I ", traccia multiforme, poliedrica, che fa della varietà il proprio vessillo. L'energia sembra non abbandonare i quattro, visto che anche " Hell On Earth " è una speed track micidiale, mentre " The King Of Pain " rappresenta il congedo, tumultuoso, di Bredhal a questo " Pain Is The Game ", visto che a chiudere il disco troviamo " Amen ", outro strumentale di una manciata di secondi. Ok, l'ascolto è terminato ed è stato stupendo; gli Allhelluja hanno dimostrato parecchie cose con questo comeback. In primis di essere una splendida realtà, e non solo un side project dalla scadenza immediata. Altra chicca è lo strepitoso stato di grazia di Longhi e soci, autori di una prova a livello di songwriting che ha del clamoroso. Canzoni efficaci, senza troppi giri a vuoto ( anzi, senza nessun giro a vuoto ), sporche e dirette come il vero rock ci ha insegnato. Chiudendo con una produzione ( a quattro mani, tra Jacob Bredhal e Tue Madsen ) ed una veste grafica degne delle migliori band in circolazione. In tutta Europa, ma anche in America, si parla di " the next big thing "...forse esagerato ma cazzo ce ne frega? Personalmente sono fiero che una band italiana susciti tutta queste serie di rumors, ancor più quando la qualità è così alta. Mai il dolore è stato così piacevole. Ottimi.
Recensione a cura di Andrea 'ELASTIKO' Pizzini

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