Partiamo da un assunto di base: io amo profondamente gli
Anaal Nathrakh, e nell’ipotetica
top ten delle migliori band estreme dell’ultimo ventennio un posticino per loro lo troverei senz’altro.
Ciò concesso, onestà intellettuale impone di rilevare come la band albionica, da un po’ di tempo a questa parte, si sia adagiata piuttosto pigramente su un
modus operandi che, una volta esauritosi l’effetto sorpresa, inizia a subodorare di stantio, anche in considerazione di un ultimo parto discografico (“
A New Kind of Horror” del 2018) nel complesso meno ispirato rispetto ai predecessori.
Come dissipare, dunque, gli spettri dell’irrilevanza e della reiterazione in occasione dell’undicesimo (!)
full length?
“
Endarkenment” tenta di raggiungere l’obiettivo seguendo due direttrici: la varietà compositiva da un lato, l’accessibilità dall’altra.
Tranquilli, tranquilli: l’infernale miscela sonora ordita dai Nostri mantiene tutte le proprie caratteristiche fondanti, mantenendosi unica ed immediatamente riconoscibile.
Nondimeno, la mia impressione è che in quest’occasione si sia voluto ampliare ulteriormente il ventaglio delle soluzioni adottabili, pur mantenendosi all’interno dello steccato metallico (pressoché scomparse, infatti, le influenze elettroniche ed
industrial).
Così, in poco più di quaranta minuti ci imbattiamo in:
- classiche schegge impazzite di matrice
grind (“
Thus, Always, to Tyrants”, “
Punish Them”);
- tentazioni
brutal (si ascolti “
Beyond Words”, in cui
V.I.T.R.I.O.L. da ennesimo sfoggio della propria versatilità vocale, aggiungendo al repertorio il
growling in
pig squeal);
- rifframa
cyber thrash che non avrebbe sfigurato in un lavoro dei
Fear Factory (“
Libidinous (a Pig with Cocks in Its Eyes)”);
- sarabande al sapor di
melodeath (“
Feeding the Death Machine”, per quanto mi riguarda, potrebbe essere una
cover degli
At the Gates);
- apocalittiche commistioni tra
black e musica classica (la conclusiva “
Requiem”, forse il picco assoluto del
platter).
Sotto il profilo dell’accessibilità, posto che occorre relativizzare
fortemente il concetto -parliamo pur sempre degli
Anaal Nathrakh, perdiana-, credo si possa comunque classificare “
Endarkenment” come lavoro più melodico della compagine capitanata da
Michael Kenney. Basti posare le orecchie sui contagiosi
chorus in clean (quello di “
Create Art, Though the World May Perish” su tutti), sulla progressione dell’immensa
title track o sulle armonie chitarristiche disseminate lungo la
tracklist.
Aggiungete come incentivi bonus la consueta produzione mostruosa e l’altrettanto consueta prestazione strumentale di prim’ordine ed otterrete il consueto, grande
album di una
band imprescindibile.
Alcuni
fan della primissima ora storceranno il naso; altri bolleranno "
Endarkenment" come semplice
more of the same; altri ancora sosterranno che la furia iconoclasta degli esordi sia ormai un ricordo.
Io plaudo con imperitura ammirazione e sincero entusiasmo.
P.S.: se, come il sottoscritto, siete rimasti delusi dall’intollerabile sciatteria dell’
artwork di copertina, vi consiglio di cercare in rete la versione non censurata: magari non bella in senso stretto, ma sicuramente d’impatto…