Una volta tanto, ci sia concesso di accodarci al carro dei festanti, e celebrare il ritorno da solista di mr.
John Petrucci, un chitarrista che davvero, davvero, non ha bisogno di presentazioni.
Una carriera spesa a costruire l'enorme dirigibile
Dream Theater, con i compagni di merende
Myung e
Potrnoy, poi
LA rottura: 2010, Mike esce dalla band.
Un lutto musicale che ha attraversato in lungo e in largo la scena, tanto che ancora se ne parla, e ha ridefinito la mitologia dei DT in un "
avanti Portnoy" e un "
dopo Portnoy", alla faccia di Kevin Moore.
Anyway, dieci anni dopo, complice anche il Covid, John trova finalmente il tempo di completare quel disco solista che da 15 anni prega di essere pubblicato, e finalmente ecco qui "
Terminal Velocity", al momento più famoso per la reunion in studio di Petrucci e Portnoy, che per il suo reale valore. Ecco perché, d'ora in poi, per rispetto all'album stesso, ce ne fregheremo altamente dell'
affaire Portnoy e ci dedicheremo alla Musica.
Dunque, "
Terminal Velocity" è esattamente quello che i fans del chitarrista di Long Island sognavano da tempo: un album interamente strumentale, con nove tracce a mostrare l'inesauribile bagagliaio tecnico ed emotivo di Petrucci. Sì, perché se c'è una cosa che si deve riconosce a John è il fatto di riuscire mirabilmente a veicolare emozioni in tutto quello che suona, impresa spesso ardua, vista anche la mole del suo catalogo. Ma qui si sente che sono lontane le catene inevitabili di un monolite come la band madre, e John può dar fondo alla sua enorme creatività, creando nove tracce godibili, abilmente costruite ed arrangiate, e suonate insieme a due MOSTRI come
Portnoy e (non dimentichiamolo,
enorme bassista)
Dave LaRue.
Le tracce ci mostrano John alle prese con un impianto fondamentalmente hard rock/metal, pur con le dovute digressioni in territori fusion, latin, blues. Di solito troverete, in ogni brano, una traccia di ritmica e la chitarra "parlante" di John a tessere melodie intricatissime ma fruibilissime. Belli i momenti inaspettatamente soft come "
Out of the Blue" che sembra un brano di Clapton (almeno all'inizio), una "
Happy Song" che plagia Nek (ahahah non scherzo! Le note del refrain sono le stesse di "Almeno Stavolta", ahahahah!), o autentici monoliti come
Gemini (da perdere la testa) o la Bettencourt-iana "
Snake in my Boot". Un pò meno piacevole e più simile ai DT recenti la conclusiva "
Temple of Circadia", peraltro unico brano con la 7 corde, ma si sa, "spiacevole" e "ultimi Dream Theater" ormai sono sinonimi...
Le influenze sono tantissime, Satriani su tutti, ma
John Petrucci non ha bisogno di dimostrare più niente da anni; lui è un modello per migliaia di musicisti, dai ragazzini nei garage ad alcuni dei nomi più blasonati nel music business; la sua
Music Man Signature è la chitarra Artist più venduta di sempre dopo la Les Paul (!!!), insomma: "
Terminal Velocity" è un album chitarristico, goduriosissimo, scritto e suonato da dio, perfetta epitome di un chitarrista DELLA MADONNA. Tanta roba.