È ormai assodato che etichettare i
Pig Destroyer esclusivamente come una band grindcore sia limitante. Da diversi anni la band statunitense si diletta a espandere il proprio suono attingendo a ciò che le è più funzionale nell’economia di ciò che compongono sia che si tratti di death metal, thrash o noise. Ovviamente non significa che la band abbia di colpo rinnegato le proprie radici, quello che conta è il risultato finale.
Il nuovo EP intitolato
“The octagonal stariway” (che altro non è la rivisitazione di un brano edito nel 2013) prosegue dunque su questa “nuova rotta” - che poi tanto nuova non è visto che è oramai è tracciata da quasi un decennio – con sei brani dalla natura eterogenea, dividendosi idealmente in un Lato A dalla pelle grind/death e in un Lato B più dal taglio noise ben rappresentando la bipartizione dell’anima della band.
Il “lato A” è diretto, duro e rabbioso: il grind imbastardito da death e thrash è sincopato, nervoso con un
Adam Jervis in gran spolvero dietro le pelli (in questo tormentato 2020 il drummer condiviso coi
Misery Index è anche entrato a far parte dei
Lock Up in sostituzione della piovra
Nicholas Barker) e ormai sempre più ingranaggio fondamentale dei
Pig Destroyer.Il “lato B” vede invece i sintetizzatori di
Blake Harrison come protagonisti indiscussi con turbinii mefitici e asfissianti con tanto di collaborazione di
Igorr Cavalera e la sua drum machine in
“ Sound walker”, la lunga traccia – da oltre 11 minuti di durata - posta in chiusura.
“The octagonal stariway” non è certo di facile assimilazione, ma lascia una strana sensazione durante l’ascolto, come se l’incompletezza insita nella forma stessa dell’EP penalizzi, contenga, fin troppo la vena musicale della band della Virginia.
Alla fine degli ascolti, non ci resta altro che aspettare il successore di
“Head cage”.
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