I savonesi
Black Elephant pubblicano il loro secondo lavoro per la gloriosa
Small Stone Records, l'etichetta di Detroit fondata da Scott Hamilton che per lungo tempo è stata punto di riferimento fondamentale del movimento stoner-psych-heavy-rock internazionale (con band come Acid King, Dixie Witch, Five Horse Johnson, Halfway to Gone, Solace, Tia Carrera, Mos Generator e tante altre..).
Il quartetto ligure aveva già fatto uscire per la label americana il precedente "Cosmic blues" (2018) che faceva seguito ai primi due lavori: "Spaghetti cowboys" (2012) e "Bifolchi inside" (2014). I titoli della vecchia produzione fanno intuire che esisteva una venatura goliardica nell'approccio musicale della formazione, tutt'ora presente ma in maniera molto più diluita e quasi rarefatta. Dopo dieci anni di attività e dopo aver diviso il palco con gente come Nick Oliveri, Sasquatch, Black Tusk, Ufomammut, ecc, si è verificata una sorta di maturazione artistica in senso più esplorativo, meditativo e dannatamente psichedelico.
Questo "
Seven swords", ispirato all'immaginario iconico nippo-samurai, è un album di grande mood hypno-rock. Sette brani dilatati, jammistici, narcotici, prevalentemente strumentali, che uniscono il fuzz-rock alla psichedelia settantiana fatta di strutture oniriche, sognanti, fortemente dopate. Gli interventi vocali, quasi in sottofondo, servono a fornire ganci riconoscibili all'interno della coltre atmosferica lisergica che questa band riesce a produrre con grande efficacia e fluidità.
Tutto questo lo ritroviamo già nell'iniziale "
Berta's flame", un colossale trip ipnotico pieno di echi Hawkwind-iani e di rigurgiti heavy-psych alla Wo fat. Occhio però al breve testo ("Berta filava, filava davvero") che evoca la celeberrima canzone di Rino Gaetano, in una citazione dallo spirito molto nazionale. Ancora più lunare il seguito "
The last march of Yokozuna", che praticamente è una coda del brano precedente, dove le chitarre puntano allo spazio in una sorta di avvolgente "cosmic-rock".
Con "
Yayoi Kusama" si cambia direzione, perchè l'impatto diventa più grezzo e pesante. Una buona botta di stoner psichedelico, con sfoggio di energia e chitarrismo hard. Invece "
Mihara" ci riporta su territori sognanti e fumosi, un passo morbido e notturno che si apre a passaggi di maggiore intensità nervosa. Una traccia matura, ben congegnata, dove la band lavora con la giusta coesione.
"
Red sun e blues sun" è un palese omaggio ai Kyuss, dai quali riprende l'inconfondibile mix di potente energia, derive psych ed echi bluesy. La successiva "
Seppuku" ha un timbro più personale, con un taglio massiccio ed incalzante e buona dinamicità. Ritornello graffiante, ritmica potente e chitarre taglienti, un altro pezzo di ottima fattura.
Si chiude con la lunga "
Govinda", hypno-trip con parti orientaleggianti e robuste pulsioni heavy-rock. Otto minuti di gustosa neo-psichedelia con qualche richiamo al post-rock per la rilassatezza stordente di certi passaggi.
Se proprio devo cercare un limite a questo disco forse è quello della parte vocale, sempre un pò troppo sullo sfondo. Ma nell'insieme la prova dei nostri
Black Elephant non sfigura al confronto di colleghi stranieri ben più noti e gettonati. Se amate lo stoner più psichedelico e spiraleggiante, questa è una band da non farsi scappare.
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