Degli iraniani
Angband il nostro portale si è sempre occupato; nel bene e nel male, la band di Teheran è riuscita a produrre la sua musica, solitamente un heavy/power con qualche influenza folk persiana al suo interno.
Adesso, a otto anni di distanza dal precedente (e deludente)
"Saved from the Truth", ecco ritornare gli Angband, con la
new entry che fa notizia:
Tim Aymar (Control Denied, Pharaoh) dietro al microfono.
Ora, di cose da dire ne avrei un sacco, soprattutto su Aymar, che ha la fortuna/abilità di lucrare su una botta di cu*o che lo ha visto alla voce in un progetto di Chuck Shuldiner: su questa cosa il cantante floridiano ha costruito praticamente una carriera, al netto di una voce rauca e potente, che scimmiotta un pò Rob Halford, un pò Matt Barlow, senza avere un'oncia della personalità di nessuno dei due.
Fatto salvo questo cappello introduttivo, come suona questo '
IV'? Beh, intanto, l'etichetta '
progressive power metal meets up with Persian folklore' (vedi note di stampa) è decisamente fuorviante: questo album NON è prog, NON è quasi per niente power; un heavy moscetto e spompato, sul quale la voce spesso sgraziata di Aymar cerca di tessere uno straccio di atmosfera, il più delle volte non riuscendoci.
La produzione è mediocre, ma mediocre è soprattutto la prova strumentale dei nostri, che obiettivamente non hanno perizia allo strumento tale da giustificare l'attenzione del vostro portafogli. Sì certo, ogni tanto qualche flautino iraniano viene inserito un pò a cacchio in questo o quel pezzo, ma davvero basta questo per poter parlare di folklore persiano?
Questo disco è debole, Tim Aymar non mi è mai piaciuto e non mi piace adesso, e gli
Angband, salvo fatto il coraggio e la forza di provare a suonare metal in un Paese a dir poco problematico come l'Iran, non possono usare la loro provenienza come giustificazione per un album suonato in maniera approssimativa e senza appeal. Peccato.
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