...ho finito gli aggettivi.
Ogni volta che esce un album dei
DGM, la mia personale asticella si sposta un pochino più in là; la band di Mularoni, Basile e soci (e che soci, perbacco) negli anni ha evoluto il suo sound, di chiara matrice power/prog americana, fino al precedente, strabiliante "
The Passage". Ma laddove lo scorso album ribadiva l'eccezionalità della band nostrana, confermando il suo essere un punto fermo e solido nel panorama prog-metal italiano e internazionale, "
Tragic Separation" fa ancora di più. Sì, perché questo nuovo platter sgancia definitivamente i DGM dalla trita etichetta di "
Symphony X italiani", e sancisce definitivamente, in maniera irreversibile, la maturità artistica di una band di Musicisti che non ha più bisogno di nessun paragone, che non necessita di strizzare l'occhio, che ha una volta per tutte tracciato un solco, il
proprio solco, che li rende unici, riconoscibili dalla prima nota, inconfondibili, come solo i Grandi sanno essere. E, vi assicuro, il fatto che siano italiani non ha alcuna influenza sulle mie parole, è anzi un motivo di orgoglio, visto che, per chi vi scrive, i DGM si possono tranquillamente considerare la più potente e riuscita metal band dello stivale negli ultimi 15/20 anni.
Adesso, parliamo 'stampatello'. "
Tragic Separation" è
una figata di album, in cui il trademark DGM si sposa con un'apertura melodica sempre crescente, e con insospettabili variazioni sul tema che rendono le tracks di questo disco diverse tra di loro, seppur coerenti e coese. La performance dei nostri è olimpica, e a questo punto sarebbe ovvio parlare di
Simone Mularoni, le cui composizioni sono da applausi, e il quale modifica lievemente il suo approccio solistico,
shreddando sì come sa fare ma spostando l'equilibrio verso solos più cantabili, melodici, dove la ricerca è sul gusto e non più sulla mera velocità o la tecnica esecutiva. Di nuovo, questo è il percorso naturale di ogni grande musicista, che si affranca dai suoi mentori per creare se stesso e definirsi come Artista pieno e completo. Ma non di solo Mularoni campano i DGM, tutt'altro! "Tragic Separation" è la prova definitiva per una sezione ritmica da incorniciare:
Fabio Costantino e
Andrea Arcangeli brillano ancor di più in un album come questo, dove non è tutto acceleratore, e di
Emanuele Casali si potrebbe parlare come di un 'creatore di amalgama', visto il lavoro di rifinitura impressionante (e spesso nell'ombra) che compie in questo platter.
Mark Basile, poi, esce dal cono d'ombra (francamente ingombrante) di Russell Allen, riscopre la sua voce e gioca con arrochimenti, barocchismi, esplorazioni del suo portentoso range vocale, regalando ai posteri la performance perfetta. Ma al di là di tutte queste parole c'è la MUSICA. Qui vi troverete 10 brani (9 e mezzo) uno più bello, originale, potente e melodico dell'altro, che vi porteranno in giro per l'universo musicale con una serie di cambi di direzione inaspettati quanto esaltanti. Merita un veloce track by track:
1.
Flesh And Blood: Partenza col botto! La prima traccia (e primo bellissimo video) ci presenta una band al picco della sua potenza espressiva. Echi di 'Iconoclast' nel riffing, ma una resa magistrale, con uno di quei ritornelli che ti ritrovi a cantare per giorni. Devo parlare dei solos? Ascoltate e piangete lacrime di gioia.
2.
Surrender: sorprendente. Aperture quasi AOR per un brano che riesce miracolosamente a combinare melodie catchy e potenza, e un altro solo di Simone da prendere le chitarre e buttarle nel caminetto, santiddio...
3.
Fate:
prog-metal at its best. Riffosissima e forse più 'classica', la song ha il pregio di restituire al fan dei DGM il classico sound che ha reso celebre la band. Cura smodata nei cori e nelle strutture ritmiche, qui niente è lasciato al caso.
4.
Hope: tonnellate di melodia veicolate ancora una volta con una hardrock/power song dal riffing serrato ma dall'incedere sinuoso, altro pezzo imprescindibile.
5.
Tragic Separation: violini e pianoforte in un'apertura inaspettata, per un brano che è forse il mio preferito di tutto l'album. Cambi di atmosfera e tonalità in un continuo rincorrersi, tra Mr. Big, Kansas, Rush, sempre al servizio della musica, con una linea vocale da applausi e un arrangiamento che può esistere solo se esiste preparazione, gusto, esperienza. Piccolo capolavoro.
6.
Stranded: si torna a pestare duro con un altro brano che affastella riffs della madonna come fossero noccioline, ed è la doppia cassa a comandare una song tutta all'assalto dell'ascoltatore, che (ancora una volta) sa aprirsi e ammorbidirsi, giusto il tempo di farti abbassare la guardia...
7.
Land Of Sorrow: modernità. I suoni di tastiere e le chitarre 'grosse', il suono frustato del basso e un incedere sinuoso dimostrano come i DGM vivano ben dentro il loro mondo (musicale), e come sappiano cavalcare il
juice del momento, senza lasciarsene controllare.
8.
Silence: Altra mazzata power/prog, melodia e potenza in una sorta di mid-tempo carico e melodico. Gusto a tonnellate e niente di scontato, dalle backing vocals ai bicordati sui cantini, dai salti di tonalità agli accenti sulle casse. E che vuoi di più...
9.
Turn Back Time: sottotitolo 'come se non bastasse'. Basterebbero i riffs dei primi 40 secondi a rendere questo un album da avere, e invece siamo solo all'intro della traccia n.9! Ancora una dose inaspettata di melodia che si sposa con un refrain speed. Solos mai come in questo album misurati e dosati, che fanno da perfetto contraltare ad una sezione ritmica spaccaossa, precisa, pesante e letale. Altro highlight del disco.
10.
Curtain: un dolcissimo commiato in due minuti e spicci, a chiudere questa meraviglia di album, lasciandoci lo spazio per rifiatare, e godere delle ultime note...
Ci siamo capiti. Chi mi legge sa che non amo essere prolisso e preferisco veicolare il messaggio nel più esiguo spazio possibile, ma certe volte, questa volta, le parole non sono mai troppe, oppure sono tutte superflue. Ascoltate, comprate, godete di "
Tragic Separation" dei
DGM. Dritto in cima alla Top Ten del 2020, facile facile.